Difficile dire qualcosa di nuovo sul caso dei marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due fucilieri della Marina Italiana arrestati in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori scambiati per pirati, nel corso di un servizio antipirateria sulla Enrica Lexie, una petroliera italiana. Ed è difficile perché in questi mesi si è sentito dire tutto e il contrario di tutto: dalla flebile possibilità di rimpatrio dei militari alla negoziazione fra i due Stati coinvolti, che sinora, peraltro, è avvenuta con risultati molto scarsi.

E’ di ieri, però, la notizia secondo cui l’India starebbe vagliando una proposta italiana – di cui non si conosce il contenuto – per una soluzione definitiva della vicenda. La fonte è il Ministro degli Esteri indiano, Sushma Swaraj, che ha risposto per iscritto ad un’interrogazione parlamentare presentata dal Partito Comunista Indiano, con la quale veniva chiesto se fosse vero che il governo italiano avesse cercato una soluzione consensuale alla vicenda e, in caso affermativo, quale fosse la reazione del governo indiano alla proposta.

Il Ministro ha risposto che la questione, in effetti, è attualmente all’esame della Corte Suprema dell’India, e sarà compito del governo indiano valutare la proposta italiana. Naturalmente, non ci sono state rassicurazioni né sull’esito, né sui tempi della decisione, ma si tratta comunque di un’apertura senza precedenti, se si pensa che proprio la Suprema Corte indiana (paragonabile alla nostra Corte di Cassazione), competente a decidere anche sulle questioni pregiudiziali attinenti alla competenza giuridica, aveva stabilito che il locus commissi delicti, ossia la zona geografica esatta dove il reato si era consumato, era da individuare intorno alle venti o trenta miglia dalla costa dello stato del Kerala. In seguito, ricordiamo, fu istituito a Nuova Delhi un Tribunale Speciale deputato ad accertare una volta per tutte il luogo del reato e, successivamente, entrare nel merito del processo.

Cosa può essere cambiato da allora? E perché adesso lo spirito che anima le trattative è diventato positivo, in aperto contrasto con quella sorta di giustizialismo da parte dell’opinione pubblica e dei giuristi indiani subito dopo l’accaduto? E’ possibile che la proposta italiana presenti elementi molto interessanti per la controparte asiatica, altrimenti non si spiegherebbe questo atteggiamento in apparenza più morbido e conciliante.

D’altra parte, non si sa fino a che punto si possa dare torto ad M. P. Achutan, membro del Rajya Sabha (Camera alta del Parlamento indiano) per il Kerala, quando osserva che “nessun intervento diplomatico dovrebbe ammettersi nell’ambito della giustizia”. Ammesso che, naturalmente, possa considerarsi legittimo in base alle norme del diritto internazionale affidare alla giustizia indiana i due militari italiani.

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