Cambia il tempo, cambiano gli usi e i costumi della società, cambia la politica e cambiano le passioni. Tranne una: quella per il calcio. Il calcio, sin dalla sua nascita uno dei più potenti connettori sociali, ha attraversato, più o meno indenne, gli ultimi decenni di trasformazione costante del mondo circostante adattandosi ai cambiamenti o forse venendo costretto farlo.
Pur mantenendo intatta la sua capacità di generare attaccamento e passione tra la gente, lo sport più amato dagli italiani ha dovuto fare i conti con un ambiente circostante in continuo divenire. Proprio queste sue caratteristiche sociali lo hanno reso suo malgrado uno degli ambiti più sfruttati dallo sviluppo consumistico che la società intera ha affrontato negli ultimi decenni. Si parte dal merchandising più sfrenato, dalla commercializzazione di qualsiasi cosa portare impresso il marchio della propria squadra del cuore, per arrivare alla somministrazione calcistica quotidiana. Quello che una volta era il rito domenicale, che soltanto una volta ogni due settimane raddoppiava con l’arrivo del “mercoledì di coppa”, è oggi diventato “lo spezzatino”, un palinsesto quotidiano figlio del passaggio epocale dall’era della radio a quella del video, da “Tutto il calcio minuto per minuto” a “Diretta gol”. La quotidianità delle partite, dal posticipo di serie B del lunedì fino a quello di Serie A della domenica sera (passando per coppe ed anticipi) vari è stato il fulcro della spettacolarizzazione quotidiana di questo sport, trasformandone nei fatti anche tutti gli aspetti circostanti. Il vecchio “Processo del Lunedì” si è moltiplicato in decine di appuntamenti settimanali che sviscerano, attraverso lunghissime chiacchierate, ogni aspetto del gioco. Il ruolo stesso del calciatore è cambiato radicalmente, quasi trasformatosi anch’egli in oggetto da vendere (ad opera di una serie di procuratori piazzisti), spesso a prezzi astronomici ed incredibili solo da immaginare, è di conseguenza sempre attento all’immagine, all’utilizzo dei social, e al più piccolo dettaglio che possa portarlo in futuro ad un contratto migliore. Una trasformazione fredda che spazzato via l’immagine delle “bandiere”, del calciatore legato forse più a dei colori che al bonifico mensile.
In questo quadro si colloca la necessità di aprire a più persone possibile la più ampia e partecipata esperienza di partecipazione calcistica, non basta più lo stadio e non basta più nemmeno la partita in televisione. La grande rivoluzione dei tempi più recenti è forse quella che più prenderà corpo nell’immediato futuro: l’e-sports, il calcio virtuale. Una modalità, quella del videogame, che permette a chiunque di sentirsi un po’ calciatore, un po’ manager e un po’ allenatore e che l’esplosione del gioco online ha reso virale. A prescindere dalla piattaforma utilizzata, la modalità “Ultimate Team” di Fifa (che permette la creazione di una squadra con calciatori reali fedelmente riprodotti da acquistare tramite accurate campagne di un vero e proprio calciomercato) ha inaugurato una nuova era: in alcune nazioni esistono già campionati paralleli a quello reale, mentre in Italia sono già diverse le squadre come Roma, Sampdoria, Genoa, Empoli e Perugia, ad aver ingaggiato dei ragazzi per rappresentarli in questo campo, trasformandoli in un attimo da semplici videogiocatori come tanti a professionisti ufficialmente tesserati per un club.
Ma il calcio resta pur sempre un gioco di campo, di terra e di fango, dove lo scopo è battere gli undici avversari che ti si parano davanti spedendo la palla nella loro rete. Attorno a questa regola, che resta ovviamente immutabile, ne sono cambiate tante adattandosi alle trasformazioni ed evoluzioni tecniche e tattiche del gioco. Così come fu la rivoluzione del fuorigioco sistematico del Milan degli invincibili di Arrigo Sacchi a suggerire l’introduzione del concetto di fuorigioco passivo, fu anche la necessità di velocizzare il gioco a vietare ai portieri di poter raccogliere con le mani i passaggi dei compagni. La rivoluzione dei nostri tempi in questo campo è senza dubbio l’introduzione della tecnologia, una rivoluzione che negli altri sport si era già affermata da anni ma che nel calcio tardava ad arrivare. Forse perché la polemica sull’episodio arbitrale è sempre stata uno degli ingredienti principali di questo sport con discussioni eterne in televisione come nei bar, ma ormai il tempo era arrivato. Oggi con la VAR gli arbitri dispongono di un validissimo aiuto e con la goal line technology siamo certi del fatto che la palla sia entrata o meno del tutto all’interno della porta. Oggi ad esempio sapremmo con certezza se quello di Hurst nella finale mondiale del 1966 era gol o meno, e non ci porteremmo dentro questo dubbio da oltre cinquant’anni. Una certezza in più e ed un poetico mistero in meno, siamo sicuri che sia meglio così?
Flavio Giordano