L’insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana è parte integrante del normale percorso formativo, nonostante serbi in sé i semi della diversità e i rovi dell’intolleranza.
Nel corso della storia, i rapporti tra Stato e Chiesa hanno avuto tra i risvolti anche un’ingerenza della Chiesa nella formazione etica e culturale di ogni individuo: l’insegnamento della religione cattolica è impartito sin dalla scuola dell’infanzia, scelta che porta i bambini a confrontarsi immediatamente con il concetto del diverso da sé. Durante l’ora di religione, gli alunni si dividono in frequentanti e non frequentanti; generalmente i primi appartengono a famiglie cattoliche e i secondi ad altre fedi, il che per estensione comporta un’ulteriore suddivisione: i cattolici da un lato e tutti gli altri dall’altro.
In riferimento alla scuola dell’infanzia, il Decreto del Presidente della Repubblica “Approvazione dei traguardi per lo sviluppo delle competenze e obiettivi di apprendimento della religione cattolica per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione”, datato 11 febbraio 2010, identifica tra i punti focali “Il sé e l’altro”:
«Relativamente alla religione cattolica: Scopre nei racconti del Vangelo la persona e l’insegnamento di Gesù, da cui apprende che Dio è Padre di tutti e che la Chiesa è la comunità di uomini e donne unita nel suo nome, per sviluppare un positivo senso di sé e sperimentare relazioni serene con gli altri, anche appartenenti a differenti tradizioni culturali e religiose.»
Malgrado il rispetto reciproco emerga nell’immediato come valore imprescindibile, l’insegnamento della religione cattolica tende a creare dei capisaldi non laici: la società umana, così idealizzata, è fondata su Dio, Gesù Cristo e il Nuovo Testamento, un mix entro cui il sistema di valori – e di conseguenza di giusto e sbagliato, morale e amorale – risulta fortemente dipendente dal teorema religioso, contro cui è probabile che si scaglino altri teoremi religiosi, dando vita a lotte aspre e intestine.
Ciò può accadere perché l’insegnamento della religione cattolica, volente o nolente, dà un determinato imprinting: nell’età più recettiva, educa i bambini all’idea che la religione sia un fatto collettivo e pubblico e che intervenga come tale nei rapporti sociali dell’oggi e del domani. Gli esclusi dalle lezioni facoltative sono per forza di cose i diversi, chiamati a spiegare per quale motivo abbandonino la classe nelle ore fatte di parabole.
Nella lettera indirizzata ai docenti di religione cattolica, la Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università affronta varie questioni, tra cui anche la società multiculturale:
«In particolare riteniamo che si debbano potenziare gli elementi, già presenti nelle indicazioni scolastiche, di conoscenza delle religioni e delle culture diverse da quella cristiana e cattolica, allo scopo di favorire, a partire dalla scuola, i processi di incontro, di dialogo e di integrazione del numero ormai ampiamente significativo di immigrati nel nostro Paese. […]»
La conoscenza reciproca come base dell’integrazione è una strategia vincente, ma mediata dall’insegnamento della religione cattolica rischia di essere meno efficace, dato che la prospettiva è quella di un credo specifico – un rischio meno pressante qualora la scuola italiana scegliesse, in luogo dell’IRC, un insegnamento della religione indipendente da qualsiasi fede: un approccio laico utile a rafforzare l’inclusione e a bandire i pregiudizi e gli stereotipi causati dall’ignoranza.
Tuttavia, un’alternativa simile non risponde al motivo per cui lo Stato garantisce l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, esplicitato dall’art. 9 della legge n. 121 del 25 marzo 1985 inerente ai rapporti tra Repubblica e Chiesa:
«La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado.»
Ma i citati «principi del cattolicesimo», facendo parte del «patrimonio storico del popolo italiano», non dovrebbero necessitare di un corso di studi ad hoc: sono già impartiti dalle famiglie e dall’educazione ricevuta durante i periodi di catechesi obbligatoria utile a ricevere i sacramenti. Nel contesto di una società profondamente condizionata dall’incontro di etnie, culture e religioni differenti, ciò che manca è invece un approccio indipendente alla tematica, che andrebbe affidato a insegnanti con background aconfessionale e storico, così da evitare che il rispetto e la conoscenza reciproci siano affidati a un insegnamento esclusivo e facoltativo.
Un approccio multi-confessionale a carattere comparativo e obbligatorio offrirebbe la possibilità di rendere noto a tutti, indipendentemente dalla fede professata, il complesso di valori che caratterizza il popolo italiano, renderebbe possibile oltrepassare gli stereotipi e conoscere le religioni diverse dalla propria e, in ultimo, garantirebbe l’inclusione di tutti gli studenti, aprendo le porte anche all’universo degli atei e degli agnostici. Questo insieme potrebbe essere un primo passo verso una società priva di pregiudizi e diffidenza, fondata sulla conoscenza reciproca e sulla riscoperta del diverso da sé attraverso il confronto con l’altro e non mediante una spiegazione impartita dall’alto.
Rosa Ciglio