Nel giugno del 2015 sono riprese le attività del Lhc (Large Hadron Collider), a seguito dei lavori di potenziamento che avevano riguardato la struttura ed i macchinari nei mesi precedenti.
Grazie a questo upgrade, l’ormai celebre acceleratore di particelle del CERN opera adesso ad un livello di energia mai raggiunto in laboratorio (circa 13 TeraelettronVolt), di quasi due volte maggiore rispetto alla vecchia configurazione, grazie alla quale, tra le altre cose, è stato osservato per la prima volta il bosone di Higgs.
I primi risultati del potenziamento del Lhc
In un interessante articolo pubblicato sulla rivista Physics Letters B, i ricercatori del gruppo di lavoro focalizzato sull’esperimento Compact Muon Solenoid hanno descritto i primi output ricevuti dalla riattivazione del Lhc, concentrandosi soprattutto sulle novità osservate grazie all’incremento del livello di energia dello stesso Lhc già descritto in precedenza.
Nei primi step della nuova fase sperimentale, sono stati analizzate, in particolare, le collisioni tra due fasci di protoni sparati in direzioni opposte lungo la circonferenza dell’Lhc a una velocità prossima a quella della luce.
In ognuno dei due fasci protonici erano presenti 476 gruppi da cento miliardi di protoni ciascuno, che sono giunti a collisione con altissima frequenza (un evento ogni 50 nanosecondi).
I fisici del progetto Compact Muon Solenoid (Csm) hanno quindi individuato oltre 150mila collisioni protoniche, per ognuna delle quali sono state rilevate le peculiarità delle particelle prodotte.
Analizzando i risultati di questa prima fase sperimentale, si può notare come l’upgrade dell’Lhc abbia portato notevoli vantaggi ai ricercatori; come riporta l’articolo di Physics Letters B sopracitato, per ogni collisione rilevata nel Lhc sono state osservate 22 particelle (nello specifico, adroni) prodotte, con un incremento pari circa al 30% rispetto agli esperimenti condotti sull’Lhc quando raggiungeva i 7 eV di energia.
Questo incremento motiva la scelta di potenziare l’Lhc, dato che sembrerebbe facilitare la ricerca di particelle sconosciute, oltre a delineare una precisa classe di eventi all’interno della quale poter ricercare le stesse particelle sconosciute.
Come spiega Yen-Jie Lee, ricercatore dell’Mit che ha coordinato l’attività di ricerca descritta nell’articolo “A questa intensità osserveremo centinaia di milioni di collisioni ogni secondo. Il problema è che molte di queste collisioni sono eventi di background, e bisogna conoscerli molto bene per distinguerli da segnali particolari, che potrebbero indicare un possibile nuovo evento fisico. Ora quindi siamo finalmente pronti per la potenziale scoperta di una nuova particella”.