Tiziano Renzi, imprenditore e padre del Presidente del Consiglio, è stato interrogato dai pubblici ministeri Marco Airoldi e Nicola Piacente di Genova relativamente alle movimentazioni della sua società, la Chil Post. Le accuse verso l’imprenditore fiorentino, sono quelle di bancarotta fraudolenta: Renzi senior avrebbe infatti, secondo i pm, spogliato l’azienda del ramo sano prima di dichiarare il fallimento, cedendo, tramite una vendita fasulla, i beni disponibili alla Eventi6, azienda di proprietà della moglie Laura Bovoli. Sarebbe questo, secondo gli inquirenti, lo schema classico della bancarotta fraudolenta: il prezzo irrisorio di appena 3.878 euro per la vendita da marito a moglie di beni di ben altro valore, per nascondere i beni ai creditori alle soglie del fallimento dell’azienda.
L’interrogatorio, avvenuto a fine novembre e tenuto segreto per quasi un mese, ha visto Tiziano Renzi difendersi dalle accuse e, soprattutto, sollevare il figlio da qualsiasi sospetto ribadendo più volte la totale estraneità di Matteo alle vicende della società paterna. La società, che si occupava di distribuzione di giornali e campagne pubblicitarie, recentemente era passata dagli onori della cronaca politica per l’assunzione del premier a tempo indeterminato poco prima che questi venisse candidato alla presidenza della Provincia dall’allora Ulivo.
Durante l’interrogatorio di Tiziano Renzi, avvenuto nel palazzo di giustizia di Genova, la Guardia di Finanza effettuava una perquisizione con conseguente sequestro di documentazione bancaria al Credito Cooperativo di Pontassieve, in relazione ai prestiti elargiti dalla banca all’azienda del padre del Premier. Un mutuo di mezzo milione di euro concesso nel 2009 prima dello spacchettamento da una banca in cui all’epoca sedeva con consigliere e oggi come presidente Matteo Spanò, fedelissimo sostenitore e amico del Presidente del Consiglio.
Il mutuo era stato concesso grazie ad una campagna volta ad agevolare l’imprenditoria femminile, in quanto l’azienda in quel periodo risulta di proprietà di Laura Bovoli e delle due figlie di Tiziano Renzi che nell’agosto del 2009 subentra alla guida dell’azienda, cedendo un anno dopo il ramo d’azienda sano alla moglie – è quanto confermato anche nella relazione del curatore fallimentare Maurizio Civardi – e passando le quote rimanenti a due nuovi soci che porteranno la società al fallimento. La banca non insinua tuttavia nel passivo perché non ha perso un euro: a perderci circa l’80% del capitale è la Fidi Toscana, una società controllata dalla Regione Toscana con quote distribuite tra banche e comuni, che ne aveva coperto completamente i costi relativi ai mutui agevolati per le imprese rosa.
Del contenuto dell’interrogatorio poco si sa: l’indagato, assistito dall’avvocato Federico Bagattini, avrebbe respinto la tesi dei pubblici ministeri secondo cui la Chil Post sarebbe fallita con un buco da un milione e duecentomila euro per colpa sua.
Roberto Davide Saba