Tutto ciò che è stato scritto giorno per giorno su questa vicenda non permette ai grillini alcune riflessioni per prendere coscienza dei propri limiti.
La prima conclusione alla quale si arriva è che nel M5S può esserci ogni tipo di persona e che, dunque, non può bastare da solo ad evitare che in politica possa esserci sia chi va contro l’interesse collettivo per seguire interessi esclusivi del proprio elettorato (e per evitare ciò è vietato il vincolo di mandato nella Costituzione), sia chi insegue solo interessi personalistici.
Dalle consultazioni di tutti i protagonisti è emerso che De Robbio, già di fatto allontanatosi dal MeetUp flegreo, sia stato espulso soltanto con l’emergere delle indagini, non perché non rispecchiasse più il programma con cui è stato eletto.
Ciò che dovrebbe far riflettere la base grillina è che al consigliere indagato sia bastato, in consiglio comunale, non votare contro le decisioni del suo Movimento per evitare l’espulsione.
Altro punto molto spesso ignorato dalla stampa nostrana è una curiosa quanto esaustiva dichiarazione al Fatto Quotidiano di Francesco Romano, primo candidato sindaco pentastellato a Quarto.
Dopo aver spiegato in un’intervista al giornale di Travaglio di aver rifiutato la candidatura proprio per aver commesso un abuso edilizio, alla domanda “come si spiega il boom elettorale di De Robbio”, dichiara “era l’unico quartese in lista”.
Da queste dichiarazioni si traggono nuove conclusioni.
1) Il MoVimento raccoglie ad ogni elezione troppi voti di lista, legati alla figura di Grillo, eleggendo consiglieri e alte cariche con pochissime preferenze.
Ciò appare un paradosso in una forza politica che pone molta importanza al voto di preferenza, per evitare che i partiti usino il voto di lista come scorciatoia per eleggere politici indagati o condannati.
2) Appare mai come ora del tutto insufficiente il legalitarismo rigido che è alla base della politica grillina.
De Robbio è stato votato anche perché, oltre ad essere l’unico quartese candidato, aveva la fedina penale pulita e nessuna indagine a proprio carico.
Ciò permette ad attivisti non legati al territorio o, peggio, a personaggi che possano fare da prestanomi alle mafie di poter entrare facilmente nelle istituzioni, come nel caso di Quarto: purtroppo il legame con le cosche, per la sua fitta rete di relazioni, viene scoperto molto spesso nei comportamenti assunti nelle proprie attività istituzionali o negli affari.
Alla luce di questi presupposti, quindi, la base farebbe davvero bene a pretendere metodi di adesione al M5S ancora più restrittivi?
Un’altra questione che la cronaca sul comune flegreo ha messo all’angolo è chiedersi se nel MoVimento esista ancora la famosa democrazia dal basso.
Indipendentemente dall’opportunità delle dimissioni di Capuozzo, il cerchio magico di Grillo, Casaleggio e del Direttorio decide in una riunione ristretta il destino dei propri eletti: soprattutto il comico genovese che, essendo proprietario del simbolo del M5S, mantiene grande, forse troppo, potere sulle espulsioni e su altre decisioni.
I rischi di questo problema sono la soppressione del dissenso e il consenso plebiscitario al guru pentastellato perfino per le sue scelte sbagliate, come l’alleanza con Farage al Parlamento Europeo, per le quali finisce per pagare tutto il partito.
Tra le tante conclusioni su questa vicenda, magari una che permetterebbe una politica migliore potrebbe essere la seguente: un programma basato su scelte concrete.
Non dimentichiamo che la distanza tra Capuozzo e De Robbio, uniti nella stessa forza politica dalla legalità e dal “sono tutti uguali”, stava in una questione banale ma concreta: gestione pubblica o gestione privata dello stadio comunale di Quarto?
Eduardo Danzet