Buone notizie. La terra si rimette in sesto in un milione di anni. Siamo noi che scompariamo”. Così recita una delle “ecopoesie” di Nicanor Parra, uno tra i poeti più importanti (insieme a Neruda, la Mistral, De Rokha e Huidobro) del Novecento letterario cileno. La Giornata mondiale della Terra ci offre l’occasione per conoscere un poeta che ha fatto dell’ambiente uno dei temi centrali della sua opera più recente.

La carriera di Parra cominciò con “Cancionero sin nombre” nel 1937, ma la sua prima opera importante è “Poemas y antipoemas” del 1954. Quest’ultimo era influenzato dalla filosofia di Wittgenstein e del Circolo di Vienna (che l’autore sembra in un certo senso confondere), da Whitman e dall’indirizzo matematico degli studi di Parra. In poche parole, la poetica degli “antipoemas” mirava a usare non solo il linguaggio dell’uomo comune, ma anche il suo immaginario. In queste poesie, raccolte poi in “Obra Gruesa”, sono presenti innumerevoli oggetti “umili”, come cipolle, telefoni, bare, lattughe, nonché una prima composizione decisamente in odore di ecologia, la “Difesa dell’albero” (Defensa del árbol). Il poeta non è più “vate”, ma un uomo qualsiasi. In alcuni versi, Parra lo dichiara senza mezze misure: “mi va bene fare la figura dell’imbecille!” (da “La poesía terminó conmigo”).

Quello dell’antipoesia era un movimento di rottura; non sorprende, dunque, che simili poesie fossero accolte e tradotte dagli americani Ginsberg e Ferlinghetti. Negli anni ottanta, però, l’attenzione di Parra si sposta con sempre maggiore convinzione sulle problematiche ambientali, sull’ecologia.

Non tutti accolsero di buon grado la direzione intrapresa dal poeta, che venne sospettato di “fuggire” dalle questioni realmente importanti e dal vero impegno sociale. Per esempio, in questa intervista del 1987, Ángeles Caso chiede all’autore di “Ecopoemas” (1982) come si può pretendere che una persona a cui manca il pane si dimentichi dei suoi problemi per interessarsi all’ecologia.

Altri rinfacciavano a Parra una distanza dal socialismo, da molti visto come una possibile soluzione a tali problemi sociali. In effetti, la posizione di Parra era distante sia dal socialismo reale (al contrario del connazionale Neruda) che dal capitalismo e può ricordare quella dell’economista Nicholas Georgescu-Roegen. In vari suoi testi e conferenze (tra cui “Le legge di entropia e il problema economico”, del 1970), Georgescu-Roegen aveva sottolineato come entrambe le teorie economiche dominanti del ventesimo secolo non avessero affrontato il problema posto dal vivere in un mondo le cui risorse non sono infinite.

Più precisamente, Georgescu-Roegen cercava di trovare un’economia che potesse andare d’accordo con l’ecologia, tenendo conto della seconda legge della termodinamica sull’entropia. Nella conferenza menzionata, lo studioso inizia offrendo una definizione di entropia: “una misura dell’energia non disponibile in un sistema termodinamico”. Per chiarire la nozione di “energia non disponibile”, aggiunge che “l’energia esiste in due stati qualitativi: energia disponibile o libera, sulla quale l’uomo ha quasi un completo controllo, ed energia non disponibile o legata, che l’uomo non può usare in nessun modo”.

Georgescu-Roegen procede con un esempio pratico: “L’energia chimica contenuta in un pezzo di carbone è energia libera, perché l’uomo può trasformarla in calore o, se vuole, in lavoro meccanico (…) Quando un pezzo di carbone brucia, la sua energia chimica non ne risulta né diminuita né aumentata. Ma l’energia libera iniziale si è a tal punto dissipata sotto forma di calore, fumo e ceneri, che l’uomo non può più usarla. Si è degradata in energia legata”.

Per lo studioso, “ciò che entra nel processo economico rappresenta risorse naturali preziose, e ciò che ne viene espulso scarti senza valore”. Tenendo questa opinione di Georgescu-Roegen a mente, si possono capire meglio questi versi di Parra:

Ricordi d’infanzia:

gli alberi non avevano ancora forma di mobile

e i polli circolavano crudi per il paesaggio.

L’ironia dell’anti-poesia degli anni cinquanta e sessanta non è sparita, ma si fonde a una critica della società contemporanea nella quale tutto deve trasformarsi in prodotto di consumo. L’impegno di Parra, dunque, c’era, ma come spiegava alla scettica intervistatrice nel 1987, non andava verso una poesía comprometida (una poesia impegnata), quanto piuttosto verso una poesía ecomprometida.

Oggi, ancora più che trent’anni fa, è difficile sottovalutare l’importanza dell’ecologia e il pericolo dell’impatto dell’essere umano sull’ambiente. In Italia, il poeta Andrea Zanzotto ha espresso i propri timori a riguardo. Per Zanzotto, infatti, il principale problema che l’uomo contemporaneo è tenuto ad affrontare è proprio quello “della catastrofe climatica, un delirio sul quale si tenda di stendere un velo di dissimulazione nonostante ci siano sintomi che si accavallano ad altri sintomi e che confermano in pieno questa realtà. (…) Tutti avvertono cambiamenti patogici e notano, per esempio qui in campagna, che i ritardi o gli anticipi delle fioriture si discostano molto – anzi troppo – dalle fisiologiche oscillazioni cui eravamo abituati. Comunque, indizi di questi deragliamenti si possono percepire un po’ ovunque nel pianeta, a macchia di leopardo. Riscaldamento globale, biospecie estinte, nuova desertificazione, guerre per l’acqua: un disastro di fronte al quale non conta più il pensiero consolatorio che tutto ciò non ci riguardi soltanto perché lo si può proiettare in un futuro remoto”.

La visione di Zanzotto è decisamente in sintonia con questi versi di Parra, basati a loro volta sulle parole del condottiero nativo americano conosciuto come Capo Seattle:

L’errore consistette

nel credere che la terra fosse nostra

quando la verità delle cose

è che noi siamo della terra

Luca Ventura

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