Una proposta di legge di SEL interviene direttamente nel dibattito su occupazione, imprese e delocalizzazioni: le aziende che scappano all’estero con i posti di lavoro, dentro e fuori i confini UE, restituiscano i contributi pubblici presi nei 3 anni precedenti. La proposta di SEL, prima firmataria la deputata Lara Ricciatti, va ad emendare le disposizioni della legge di stabilità 2014 (quella approvata a dicembre 2013 per l’anno in corso) che prevedeva restrizioni troppo lasche per le aziende non virtuose e che consentiva la delocalizzazione indiscriminata verso i paesi dell’est Europa che sono la meta dell’80% delle aziende italiane che decidono di scappare all’estero.

Una proposta che si inserisce nel generale clima di scetticismo, soprattutto della sinistra e dell’area sindacale, verso la nuova legge di stabilità che prevederebbe incentivi alle imprese a pioggia, senza specificare per ora una discriminazione tra imprenditori virtuosi e imprenditori che intascherebbero i soldi in più anziché reinvestirli in occupazione. Ma soprattutto, nelle intenzioni di SEL, è una proposta figlia di quanto successo in Italia dal 2007 in poi, durante una crisi economica in cui “imprese che decidono di delocalizzare per inseguire guadagni e profitti facili” hanno sfruttato il clima emergenziale per spostare oltreconfine i posti di lavoro, assieme ai contributi dello Stato raccolti fino a quel momento. Allegato al testo infatti è stata presentata una lista completa (pubblicata da l’Espresso), fin’ora inedita, di 164 tavoli di crisi aperti dal Ministero dello Sviluppo Economico, a dimostrazione della gravità della situazione tutt’ora vigente.

La proposta, che convince oltre i confini del partito di sinistra e raccoglie le prime adesioni anche tra esponenti critici nel Partito Democratico come Pippo Civati, si muove – come spiega il capogruppo alla Camera Arturo Scotto – mira all’introduzione di un meccanismo di premi: “stop agli incentivi per chi delocalizza, sostegno invece a quelle imprese che, nonostante la crisi, pur facendo sacrifici, hanno scelto di restare, investire e continuare a produrre in Italia”.

Verrebbero punite quindi le imprese che deciderebbero di delocalizzare a meno di 3 anni dal finanziamento pubblico verso qualsiasi paese interno o esterno l’Unione Europea, senza più l’attuale tetto di tolleranza del 50% di posti di lavoro trasferiti all’estero. Ancora più vincolate le imprese sopra i 1000 dipendenti, per la loro importanza occupazionale per il territorio, che dovrebbero, prima di andarsene, trovare un acquirente che conservi i posti di lavoro.

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