Cosa lega la sparatoria di Buffalo avvenuta per mano di un diciottenne suprematista bianco e l’intenzione della Corte Suprema statunitense di revocare il diritto all’aborto? La matrice comune di questi due avvenimenti è il nazionalismo bianco che negli Stati Uniti prospera fra crescenti episodi di violenza nei confronti della popolazione nera e la nascita di gruppi dichiaratamente nazisti. L’associazione fra suprematismo bianco e movimenti no-choice è molto più evidente e consolidata nel tempo di quanto si pensi. Controllare il corpo delle donne e impedire l’aborto significa assicurarsi l’egemonia bianca e ottenere la piena subordinazione della popolazione femminile. In questi termini, si profila uno scenario distopico quasi impensabile. Eppure, la decisione del Senato statunitense di bloccare la misura che avrebbe assicurato l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza a livello federale e la volontà dei giudizi conservatori della Corte Suprema di abolire il diritto all’aborto sembrano delineare un futuro non troppo roseo per le donne americane, soprattutto se nere e latinoamericane.
La sparatoria di Buffalo e le teorie cospirazioniste
Qualche settimana fa, Payton Gendron, diciottenne suprematista bianco, ha sparato con un fucile semiautomatico all’interno di un supermercato di Buffalo, nello Stato di New York, uccidendo dieci persone e ferendone tre. La scelta di aprire il fuoco in quel luogo non è casuale: il negozio si trova in un quartiere abitato prevalentemente da afroamericani. Oltre ad aver trasmesso la diretta della strage sulla piattaforma di livestreaming Twitch, l’assassino aveva pubblicato su internet un manifesto ispirato alle idee del suprematismo bianco e a teorie cospirazioniste della cosiddetta “grande sostituzione”.
Nelle oltre 100 pagine del suo manifesto non mancano i riferimenti a Luca Traini, autore dell’attacco razzista di Macerata avvenuto nel 2018 contro la popolazione migrante. Ribadendo la superiorità della razza bianca e le sue origini europee (anche italiane), Payton Gendron dichiara di essersi ispirato agli autori delle stragi più efferate a sfondo razziale, come Breivik, attentatore norvegese che nel 2011 ha ucciso settantasette persone, e Brenton Tarrant, che nel 2019 aveva assaltato due moschee in Nuova Zelanda procurando la morte a più di cinquanta persone.
Le teorie alla base delle sue azioni criminali sono quelle cospirazioniste del “Great replacement”. Si tratta di una versione simile alla teoria del complotto del piano Kalergi, fondata sulla credenza della sostituzione della popolazione europea con migranti provenienti dall’Africa e dall’Asia. I sostenitori della “grande sostituzione” negli Stati Uniti sono invece convinti che la popolazione bianca americana sarà presto rimpiazzata da quella nera e nella versione antisemita della teoria i supposti autori di questa sostituzione sono proprio gli ebrei. La diffusione di queste idee complottiste è dovuta a due libri pubblicati negli anni Settanta. Un romanzo distopico dal titolo “Il campo dei santi” dello scrittore francese Jean Raspail e il racconto “The Turner Diaries” scritto da William Luther Pierce. Entrambi narrano di futuri immaginari in cui le altre etnie soppianteranno quella bianca caucasica.
Come scrive Il Post, queste storie di fantascienza sono state riprese in seguito dall’estrema destra e in particolare dallo scrittore francese Renaud Camus. Pur non avendo alcuna base scientifica, il suo libro “Le grand remplacement: Introduction au remplacisme global” ha coniato il termine “grande sostituzione”, divenendo il documento fondante della teoria del complotto. Camus ritiene che la popolazione francese sarà sostituita dagli immigrati dalle ex colonie, ritenuti colonizzatori, in un vero e proprio rovesciamento dei fatti storici del passato. Con la differenza che questi ultimi sono realmente avvenuti.
L’estrema destra americana, vicina al suprematismo bianco, ha fatto propria questa teoria, come dimostrano le numerose uscite di personaggi televisivi ed eletti al Congresso fra gli scranni dei repubblicani. Anche i politici di estrema destra europea non hanno esitato a fare dichiarazioni più o meno allusive alla sostituzione, utilizzando formule molto evocative. Matteo Salvini ha parlato a chiare lettere di “invasione pianificata del nostro Paese. Un tentativo di sostituzione etnica dei nostri lavoratori con dei disperati”. Non da meno, Giorgia Meloni nel 2016 postava sui suoi canali social: “Prove generali di sostituzione etnica in Italia”. Anche Marine Le Pen nel 2011 sembrava aver fatto riferimento a tali teorie cospirazioniste a margine di una conferenza stampa. Nonostante le smentite da parte sua, la leader del Rassemblement National sembra non aver mai parlato in televisione di “sostituzione organizzata della popolazione francese”, ma ha sempre preferito utilizzare questo tipo di argomentazione durante i discorsi ai militanti.
Dalla sostituzione etnica al diritto all’aborto
Qual è il modo migliore per fermare questa sostituzione etnica immaginaria? Forzare le donne bianche ad avere figli e combattere ad ogni costo l’immigrazione, criminalizzandola e riducendo alla povertà estrema le donne afroamericane. A proposito dei movimenti che si oppongono all’aborto e dei partecipanti alla “Marcia della Vita”, The Guardian parla di ansie crescenti, dovute ai cambiamenti demografici e alla possibilità che i bianchi diventino una minoranza nel Paese. La grande paura che accomuna i suprematisti bianchi e i movimenti no-choice è la “race suicide”, il suicidio della razza. Non a caso, il giornale britannico prosegue spiegando come nel tempo sia divenuto popolare il movimento eugenetico che supporta una campagna di nascite forzate per le donne protestanti e sostiene la sterilizzazione non volontaria di donne povere, specialmente se nere o incarcerate.
Negli Stati Uniti il diritto all’aborto è sotto attacco da anni. Molti Stati vietano o ostacolano l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza, come avvenuto in Oklahoma, in cui un disegno di legge approvato lo scorso 6 aprile ha reso illegale l’aborto dopo solo sei settimane di gravidanza (l’unica eccezione è in caso di pericolo di vita per la gestante). Anche in Texas vige una legge simile approvata nel 2021 che vieta l’aborto a partire dalla sesta settimana e che incentiva a denunciare gli aborti illegali con ricompense intorno ai 10.000 dollari per coloro che sporgono denuncia.
Ora si prospetta anche la possibilità che l’aborto venga abolito a livello federale. A inizio del mese di maggio è trapelata una bozza scritta dal giudice Samuel Alito, secondo la quale i giudizi della Corte Suprema (tre dei quali eletti da Donald Trump) siano in maggioranza favorevoli all’annullamento della sentenza Roe v.Wade del 1973, che consente l’accesso all’aborto a livello federale. Se in estate la Corte suprema riuscirà a ribaltare la sentenza, ogni Stato potrà di fatto rendere illegale l’interruzione volontaria della gravidanza. Amnesty International, che definisce il diritto all’aborto un diritto umano, cita i dati del Guttmacher Institute, secondo il quale sarebbero 26 gli Stati intenzionati ad abolirlo.
L’intreccio di misoginia e razzismo, che attrae sempre nuove leve fra le fila del suprematismo bianco, è ravvisabile anche in questa decisione della Corte Suprema. Gli esperti parlano di una possibile crisi sanitaria per le donne afroamericane a seguito del divieto d’aborto. Infatti, le donne nere rischiano di morire per problemi legati alla gravidanza tre volte in più rispetto alle donne bianche. Inoltre, molte donne nere faticano ad accedere ai servizi sanitari all’interno delle comunità, subiscono episodi di razzismo da parte degli operatori sanitari e spesso non sono provviste di assicurazione sanitaria. Anche il direttore generale dell’Oms, Organizzazione mondiale della sanità, si è espresso a favore del diritto all’aborto, dichiarando che un accesso ristretto all’aborto legale non riduce il numero di procedure, ma mette in pericolo la vita di donne e ragazze.
Il divieto all’aborto è una misura profondamente discriminatoria contro i diritti riproduttivi, sessuali e alla salute della donna. Anche nel caso dell’interruzione volontaria di gravidanza, le discriminazioni possono essere lette in chiave intersezionale: le persone a basso reddito, migranti, rifugiate, nere e LGBTQI+ avranno ancora maggiori ostacoli all’accesso ai servizi sanitari e potrebbero veder peggiorata la propria condizione economica, a causa del costo delle trasferte verso Stati in cui è possibile accedere all’IVG o degli aborti clandestini. Qualche giorno fa la scrittrice e giornalista Jennifer Guerra ha elencato sul suo profilo Instagram i motivi per cui l’aborto è una questione inevitabilmente di classe, evidenziando come le donne povere sono quelle a pagare il prezzo più alto quando vengono approvate leggi restrittive.
Purtroppo i fatti non smentiscono un assunto fondamentale: i diritti delle donne non sono mai sanciti una volta per tutte e rischiano sempre di essere revocati. Le crisi demografiche ed economiche costituiscono un enorme pericolo per le donne e i loro corpi. Non sorprende dunque il filo quasi inestricabile che unisce il suprematismo bianco (misogino e razzista) ai movimenti anti-abortisti.
Rebecca Graziosi