Il giornalista, saggista e scrittore Vito Faenza, nonché esperto di criminalità organizzata e terrorismo nazionale e internazionale, esordisce col nuovo romanzo impegnato “Il terrorista e il professore” dell’edizione Spartaco, e presiede l’evento di presentazione in Libreria Quarto Stato ad Aversa insieme a Nicola Graziano.
Quando si ha un’ispirazione la si coglie dall’intrigo con cui la mano si proietta sul foglio in atto rapido e romanzato. E quando la storia da raccontare è cronisticamente coincisa, segnandone una quotidiana dimensione di irrealtà di fronte a temi ostici e scottanti, beh, l’ingegno giornalistico si dimena feroce e ti coglie in un libro che “leggi tutto d’un fiato”.
Può mancarti il respiro se la semplicistica sensazione ti catapulta in storie frivole di verità e memorie; come il ricollegare mnemonicamente attraverso logica e dedizione gli eventi che segnarono gli anni ottanta italiani, in seguito alle vicende del rapimento dell’assessore Ciro Cirillo per mano delle Brigate Rosse, e che successivamente divennero l’epica teoria di una trattativa che vide complici e complottisti i clan della camorra capitanati da Raffaele Cutolo oltre a vari esponenti della politica di quei tempi.
Alla presentazione Graziano esordisce nel racchiudere promissivamente un’efficiente qualità del nuovo romanzo di Vito Faenza: “ci si compenetra coi personaggi, così come coi fatti della storia. La descrizione implicita crea uno splendido immaginario in cui si sente addirittura la brezza marina.” Situazioni narrate con leggerezza impavida, condensando la scrittura tra i dialoghi fra il Sindacalistica, svelato da Faenza come “un insieme di tanti terroristi” e il Professore, nel quale si assemblano come un puzzle i caratteri e le vicende del boss della camorra Raffaele Cutolo. Il tutto imperlato da una fuggitiva storia d’amore perché “tutti, anche i camorristi ce l’hanno”.
“Il terrorista e il professore” è un libro che svela i meandri di un periodo costellato da politiche spalleggiate e spalleggianti le organizzazioni criminali, che allungavano i loro tentacoli diventando centralità di affari sporchi e leciti, oltre che veri e propri pass pour tout da convalidare per diventare politicanti vaneggianti come uomini pubblici.
Un libro dalla capacità narrativa scorrevole “che ti fa uscire ed entrare dal carcere e dalla cui fine se ne trae anche l’inizio”. Questo, il racconto di compromessi dello Stato trattati a braccetto con la malavita, in cui le forze armate brigatiste diventando poteri strumentalizzabili dalla camorra, e che approdano poi nel pentimento dopo aver perso il confine con l’atto rivoluzionario e la sregolatezza ideologica.
Libero Pensiero dopo l’approdo con questa recensione vi offre inoltre un’intervista esclusiva a Vito Faenza, che ringraziamo con stima:
Negli ultimi periodi stiamo assistendo alle nuove piste della magistratura in merito alla trattativa stato-mafia; anche il nostro Presidente della Repubblica Napolitano è stato interrogato ed ascoltato in qualità di testimone:
“Era il 24 Marzo 1982 e ritengo di affermare che Giorgio Napolitano non era a conoscenza di nulla. I giudici sbagliano perché tra cariche pubbliche e servizi segreti, si cercano ancora dei testimoni mentre non si è fatto niente per arrestare i latitanti di cui si conoscevano le movenze, e che nel frattempo seppellivano morti. Quando lo scandalo della trattativa stato-mafia per il rilascio dell’assessore Ciro Cirillo scoppiò come fatto di cronaca sui giornali, ci fu un documento assolutamente falso che fu scritto dal boss Cutolo per depistare le indagini e fu pubblicato sull’Unità, per cui io scrivevo; in quel documento c’erano mille incongruenze ma così facendo Cutolo voleva che l’attenzione sfociasse sui comunisti e il fatto che appoggiassero delle tesi del tutto erronee. Stando al dopo questo documento fu ulteriormente manomesso e il PCI si scusò con gli interessati presi in causa delle forze opposte, sostenendo comunque l’esistenza di questa trattativa. Successivamente pubblicai degli articoli in cui descrivevo lo stato di nobiltà e dei favoritismi con cui Cutolo viveva in carcere, e addirittura il famoso giornalista Enzo Biagi ricopiò per intero il mio articolo su La Repubblica! Io ormai ero definito un Cutologo e l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini mi chiamò furioso per questi articoli, affermando che l’unico scandalo tra gli scandali era la trattativa in sé per sé.”
Lei che si occupa tra le tante cose di criminalità organizzata, pensa che le nuove misure “Sblocca Italia” siano la soluzione alla crescita del paese, o c’è bisogno di uno sradicamento culturale?
“Innanzitutto, credo che non possiamo lottare contro le mafie se non pensiamo ai luoghi d’origine da cui provengono, le regioni. La mia opinione è che a Casal di Principe, così come a Gioia Tauro, si debbano utilizzare parte di quei soldi confiscati alla criminalità organizzata. Don Ciotti diceva che servono nuove strategie, occorre valutare lo stato culturale del luogo e non è certo col commissariamento esterno che si salva Bagnoli. Si deve dare una dimostrazione dello Stato a fianco del popolo. E quindi su 8 miliardi di euro sequestrati alle mafie, almeno 500 milioni si potrebbero distribuire all’istruzione. Si potrebbe pensare di incentivare i docenti più qualificati e così motivarli in scuole difficoltose d’Italia, o attraverso degli investimenti letterari per i giovani e destinare parte di quei soldi a targhe di merito sociale per la rivalutazione di coloro che amano le loro terre, e così le rivalorizzano.”
Cosa ne pensa del fenomeno esploso con la serie televisiva Gomorra?
“Uno dei peggiori servizi mai fatti. Stimo Roberto Saviano ma credo che sia stato un limite screditare la nostra terra perché ha mostrato all’estero il nostro lato peggiore. Tra l’altro, sono stato segretario dell’Osservatorio sulla camorra e l’illegalità e ho conosciuto persone che lottano e faticano ogni giorno; il primo pezzo sui Casalesi, io l’ho scritto nel lontano ’76 quando ci furono degli omicidi e nel ’77 Renato Natale mi fece scrivere i primi articoli sulle eco-mafie. Sono stato definito addirittura un Cutologo così come negli anni ’90 scrivevo di Setola. Io mi occupo di camorra e d’inchiesta, e tutto quello che so lo si può vedere facilmente: mentre lo stato non ha mai voluto occuparsene.”
Il ruolo dei giornalisti di oggi è davvero pericoloso per chi intraprende la narrazione della criminalità?
“I giornalisti a volte cercano di smascherare delle dietrologie. Ma finiscono con l’ingrandire e sparano delle grandissime sciocchezze. Io penso che le domande più difficili e importanti abbiano le risposte più semplici. E credo nell’amore del raccontare grumi di umanità. Quando ero ancora giovane giornalista era difficile avere la scorta se si raccontava di cose di tale genere come camorra, ma se qualcuno ce l’aveva voleva dire di più che lo Stato voleva impicciarsi nelle tue cose e controllarti piuttosto che tutelarti! Sono stato inviato speciale per l’Unità e ho sempre vissuto ad Aversa. I luoghi in cui mi sono sempre sentito al sicuro sono Ottaviano e Casal di Principe.”
Ringraziamo per l’invito la Libreria Quarto Stato, sede di cultura dell’agro aversano.
Alessandra Mincone