Il dibattito di queste ore a seguito del voto in Emilia ed in Calabria mi lascia alquanto turbata. Il centrosinistra vince. Vince elezioni quasi sicure, crolla il Movimento cinque stelle e si dimostra l’inutilità delle ammucchiate che pure qualcuno proponeva. Perde, che ci piaccia o no, la democrazia, perde quel sentimento che il tuo voto possa cambiare le cose, possa dare un indirizzo, possa servire ad esercitare pienamente i propri diritti costituzionali. Certo, il voto non è solo un diritto, bensì un dovere. Eppure milioni di cittadini hanno deciso di stare a casa. Attenti osservatori del “nuovo corso” si sono lasciati stamane in analisi alquanto surreali quasi a teorizzare che non è colpa della politica se i cittadini non vanno a votare, anzi è un problema loro che rivela il degrado della nostra società. I cittadini non ci hanno capito, o peggio ancora, non vogliono proprio saperne di capire. Meno male che si sono pochi illuminati che ancora ci danno un po’ di consenso per sbandierare qualche “confortante” percentuale. Addirittura c’è chi in queste ore sostiene che ci siamo adeguati agli standard di altri Paesi (peccato che non ci adeguiamo mai per le cose buone). Mi sembra un pò come in Così parlò Ballavista nella scena della Lavastoviglie: vi abbiamo dato le primarie e non partecipate, vi abbiamo dato i talk show e non ci ascoltate, ma allora vuol dire che non volete proprio saperne.

Ora, prima che cominciamo a teorizzare che è colpa dei precari se sono precari o che è colpa della gente tirchia se non ripartono i consumi, mi preme condividere un minimo di riflessione. Da anni non guadagniamo un solo voto, anche dal collasso di Grillo non abbiamo cavato un ragno dal buco. In termini assoluti non siamo capaci di conquistare un solo elettore in più ma continuiamo a perdere e con noi perdono tutti gli altri. Se un elettore, un cittadino decide di non esercitare il voto, cos’è se non la più alta forma di sfiducia nelle istituzioni e nella politica? Cosa vuol dire se non la consapevolezza che l’unico strumento che gli è dato, il voto, è inutile a cambiare la propria condizione di sofferenza? Questa sensazione è il dato più allarmante di queste elezioni. Non c’è un tema semplicistico di distanza dai cittadini. Piuttosto è il sintomo più evidente dell’incapacità della politica di dare speranza, di costruire collettivamente una visione, di aver ridotto tutto ad un grande spot pubblicitario. Perchè è facile dire faremo o abbiamo fatto, ma le persone “normali” vivono sulla propria pelle le difficoltà, i finti annunci, la sensazione di solitudine, l’eterna incompiutezza dei provvedimenti. Le persone “normali” non si confrontano nelle grandi convention ma al bar, nella piazza, al parco, nelle università, nei mezzi pubblici che non funzionano. Le persone “normali” sono stanche di vedere che chi le governa ne sa meno di loro, è stanco l’operaio, è stanco il piccolo imprenditore quando sente parlare di articolo 18 e mai nessuno che gli dia una mano per salvare la propria azienda, è stanco lo studente quando gli si dice di investire in conoscenza e poi non ha la borsa di studio o va a lavorare al call center.

La politica più che impotente è sorda e afona, sorda perchè non ascolta il grido di sofferenza, afona perché dà sempre meno voce a chi giorno per giorno continua a perderla. Una bella vittoria, oggi, per quanto mi riguarda, fa molto più male di una tremenda sconfitta su un campo di battaglia vero. Abbiamo vinto la guerra perché c’è stata la resa, una resa incondizionata ad una rappresentanza debole e incompiuta. Non è un tema di sinistra o di destra, è il tema più complesso di una società sempre più individualista in cui, anche e soprattutto per colpa della politica, c’è sempre meno spazio per grandi idee che ci facciano riconoscere come comunità.

Antonella Pepe

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