Carissimo,
sento con certezza che sto per impazzire di nuovo. Sento che non possiamo attraversare ancora un altro di quei terribili periodi. E questa volta non ce la farò a riprendermi. Comincio a sentire le voci, non riesco a concentrarmi. Così faccio la cosa che mi sembra migliore. Mi hai dato la più grande felicità possibile. Sei stato in ogni senso per me tutto ciò che una persona può essere. Non credo che due persone avrebbero potute essere più felici, finché non è sopraggiunto questo terribile male. Non riesco più a combattere. Lo so che sto rovinando la tua vita, che senza di me tu potresti lavorare. E lo farai, lo so. Vedi, non riesco nemmeno a esprimermi bene. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo a te tutta la felicità che ho avuto nella mia vita. Hai avuto con me un’infinita pazienza, sei stato incredibilmente buono. Voglio dirti che lo sanno tutti. Se qualcuno avesse potuto salvarmi questo qualcuno eri tu. Tutto se ne è andato via da me, tranne la certezza della tua bontà. Non posso più continuare a rovinarti la vita.
Non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici di quanto lo siamo stati noi. V.

Con questa lettera al marito ci lasciava, nel 1941 all’età di 59 anni, la scrittrice inglese Virginia Woolf, una delle personalità più affascinanti del Novecento Letterario.

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Virginia e Leonard nella loro casa in Inghilterra

 

Era nata a Londra il 25 gennaio del 1882 dal padre, autore e critico letterario (“sempre sola fra i libri di mio padre…”) e la madre, modella.

La Woolf aveva sofferto di stati d’ansia fin da giovane: quando, a 13 anni, perse la madre dovette affrontare la prima dura crisi; a seguire la sorella Stella (che aveva fatto da madre alla piccola Virginia), e il padre nel 1904. La donna non resse i lutti che si erano verificati a distanza ravvicinatissima e cadde in un profondo stato di depressione che la porteranno al primo tentativo di suicidio (lanciandosi da una finestra proprio nel 1904) e poi alla morte per annegamento volontario nel 1941. Con la morte della sorella e il padre vecchio e stanco, la Woolf e l’altra sorella Vanessa convivono principalmente coi fratellastri che intrattengono rapporti incestuosi con le giovani: questo sarà un trauma da cui la scrittrice non guarirà mai.

[…] La pazzia è una cosa terrificante, da scongiurare, e nella sua tempesta di lava io trovo la maggior parte delle cose che scrivo.

Nel 1912 sposò Leonard, uno scrittore con cui aveva un profondo legame intellettuale. Lui le resterà accanto tutta la vita, prendendosi cura di lei durante le sue crisi depressive. L’uomo le propone di aprire una casa editrice per distrarla dalla malattia e così nasce la Hogarth Press che stampa, tra gli altri, autori come Svevo, Rilke, Freud, Tolstoj, Eliot, Dostoevskij e Cechov.

by Lady Ottoline Morrell, vintage snapshot print, June 1926

Tra i suoi scritti più importanti ricordiamo: “La signora Dalloway” del 1925, “Gita al faro” del 1927 che è forse il suo capolavoro insieme a “Le onde” del 1931.

La letteratura fu un’attività estenuante per lei: non si decideva mai, da perfezionista quale era, restava lì in cerca della parola perfetta. Era una donna attenta, precisa, sempre in allerta sulle parole della critica (che mai si risparmia, si sa). Il marito doveva farle da primo lettore, poiché anch’egli era uno scrittore. Oltre all’ambiente letterario, Virginia Woolf s’interessò anche dei diritti delle donne: fu una femminista convinta. Nell’opera “Una stanza tutta per sè” sottolinea e denuncia la condizione femminile di inferiorità rispetto agli uomini, soprattutto nel campo della cultura:

Chi mai potrà misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando rimane preso e intrappolato in un corpo di donna?

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La Woolf da giovane

 

Maria Pisani 

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