Dopo quasi dieci anni dall’approvazione del piano Marchionne, gli operai FIAT FCA di Pomigliano e di altri stabilimenti del gruppo, il 23 marzo, sono tornati a indire uno sciopero contro il colosso delle auto, in contrasto con le politiche aziendali che, a breve, rischieranno di portare al licenziamento di migliaia di metalmeccanici e che, già nell’immediato, hanno provocato il fermo delle linee produttive in molte fabbriche italiane.
Appuntamento fuori i cancelli dello stabilimento FIAT FCA di Pomigliano, in vista del presidio lanciato per le ore 12 del 23 marzo.
C’è un buon numero di operai ai cancelli, provano a coinvolgere gli operai del primo turno di lavoro ad aderire alla protesta. I sindacati organizzatori (tra cui le sigle SI COBAS, USB e SOA per lo stabilimento di Termoli) fanno sapere che, dopo anni di silenzi trascorsi ad aspettare mirabolanti riprese della produzione promesse dalla dirigenza, l’adesione allo sciopero è stata buona e ha interessato una minoranza cospicua degli operai di Pomigliano.
Infatti, sostengono i SI COBAS, al primo turno di lavoro a Pomigliano hanno scioperato circa il 20% degli operai, provocando un sensibile calo della produzione. Più bassi i numeri del secondo turno, anche a causa dell’intervento delle forze dell’ordine che ha reso complicata, agli scioperanti, la possibilità di raggiungere i colleghi del secondo turno.
In ogni caso, considerando il lungo periodo di stasi che hanno vissuto le proteste dei metalmeccanici di Pomigliano, si è trattato di uno sciopero che ha visto una partecipazione degna di nota.
Uno sciopero che ha ricevuto l’adesione anche di operai appartenenti ad altre sigle sindacali. Inoltre, ai numeri di Pomigliano vanno aggiunti i numeri degli altri stabilimenti FIAT FCA i cui operai hanno aderito allo sciopero. A Termoli, ad esempio, hanno scioperato circa la metà dei lavoratori e da Cassino sono arrivati operai a sostenere il presidio.
Il gruppo FIAT FCA
La situazione generale del gruppo FIAT FCA, sul piano occupazionale, non lascia presagire nulla di buono. Al salone dell’auto di Ginevra, Marchionne ha lasciato intendere che in Italia verranno prodotti solo la gamma FIAT 500 e i due modelli ALFA ROMEO attualmente in produzione, almeno fino a quando non verrà lanciato il nuovo piano industriale previsto per il giugno di quest’anno.
La FIAT Panda, invece, verrà prodotta in Polonia mentre tutto il resto della produzione verrà spostato in America centrale, America latina e negli USA, dove il governo statunitense eroga montagne di aiuti sotto forma di sgravi fiscali per l’azienda e, in passato, ha investito miliardi di dollari per il salvataggio di General Motors e Chrysler.
Considerando che la FIAT Panda è l’auto più venduta del gruppo FCA e, nonostante ciò, la sua produzione non riesce a garantire la piena occupazione nello stabilimento di Pomigliano e in nessuno degli altri stabilimenti italiani, va da sé che, con lo spostamento della produzione in Polonia, la situazione degli operai metalmeccanici italiani si profila a dir poco allarmante.
A luglio scadrà la cassa integrazione per Pomigliano e, salvo interventi legislativi straordinari ma comunque non risolutivi, non potrà più essere prorogata. Nel solo stabilimento di Pomigliano si prevedono 2500 esuberi su 4500 operai. A ciò si sommano le situazioni di Mirafiori (dove lo stabilimento è chiuso già da qualche giorno), Melfi, Termoli e Cassino (dove hanno prestato servizio numerosi operai assunti a tempo determinato e altri operai spostati temporaneamente da Pomigliano, rendendo difficile fare una stima di quanti metalmeccanici siano attualmente alle dipendenze dello stabilimento laziale).
Eppure gli operai italiani del gruppo FIAT FCA, sotto il ricatto perenne della competizione globale, in questi anni hanno garantito ritmi produttivi ai limiti dell’umano.
Si calcola che nello stabilimento di Pomigliano, nei periodi di piena produzione, vengano sfornate 450 auto per ogni turno di lavoro. Parliamo di una vettura ogni 52 secondi. Tali ritmi di produzione hanno comportato uno sfruttamento intensivo della forza lavoro al punto da mettere fuori uso gli operai dopo 3 anni di catena di montaggio, rendendo necessario il loro spostamento, dopo tale periodo, in comparti produttivi definiti “di alleggerimento”.
A fronte di questi immani sacrifici, gli operai del gruppo FIAT FCA si ritrovano con una salute compromessa nei periodi di massima produzione e con uno stipendio da fame, mediamente intorno ai 900 euro mensili, nei periodi in cui la produzione si ferma o rallenta drasticamente. Dopo anni in cui i metalmeccanici hanno digerito un piano industriale che ha fatto carta straccia dei diritti acquisiti, ora si ritrovano con una ecatombe occupazionale alle porte e con un’azienda pronta a dare a molti il ben servito.
Da un lato vi è uno Stato senza una politica industriale per questo Paese e incapace di inchiodare il gruppo FIAT FCA alle proprie responsabilità; dall’altro vi è una dirigenza aziendale che ha in più occasioni dimostrato di voler abbandonare l’Italia, nonostante nella sua storia abbia ricevuto danaro pubblico e abbia influenzato profondamente tutta la politica industriale italiana.
Per tutti questi motivi, con un’estate che si preannuncia torrida per i metalmeccanici FIAT FCA, lo sciopero e il presidio degli operai di Pomigliano del 23 marzo, al di là dei numeri, rappresenta un punto di partenza fondamentale per la ripresa di una stagione di lotte. Il silenzio di questi anni, evidentemente, non ha pagato. Ogni strategia aziendale è stata digerita, nella speranza sacrosanta di conservare i posti di lavoro. Ora, col disastro alle porte, lo sciopero del 23 marzo ha lanciato un segnale importante: senza la lotta, gli operai non vanno in paradiso.
Mario Sica
Ma lotta de che ? Marchionne sta facendo cose storiche. E questi fanno solo zizzania. Si parla di un modello Alfa Romeo a Pomigliano e questi fanno i chiodi. Ma per cortesia non disturbate la gente che vuole lavorare seriamente. Prima che Marchionne si incazzi e il suv Alfa lo faccia fare davvero in Polonia come la Panda.
L italiano vuole lo stipendio garantito ,fare il meno possibile,mutua e pensione .tutto giusto.ma ha provato ad andare dall’ altra parte del tavolo? Il costo stipendio in Italia e alto e con quanto costa un italiano si pagano 6 brasiliani .oggi produrre auto è difficile e non conviene più qui da noi