Lo champagne, o in italiano sciampagna, è ormai da secoli la bevanda che più si associa ai concetti di festa e di lusso, ed è proprio con questi intenti che fu introdotta per la prima volta in Formula Uno negli anni ’60 e, oggi, diventa parte immancabile del podio di ogni corsa automobilistica o, più in generale, motoristica.
Il più delle volte confuso con i vari tipi di vino pregiato, lo champagne – e non lo apprendiamo di certo solo oggi – è solo un tipo di spumante (e non lo spumante), data la caratteristica spuma che si forma subito dopo la stappatura. Lo champagne, oltre ad aver preso il nome dalla regione omonima della Francia in cui furono prodotte le prime bottiglie, è anche uno dei pochi vini che ha un proprio inventore, e cioè l’abate Dom Pierre Pérignon. I primi passi sulle tavole dei ricchi signori li ha mossi dal 1670 in poi, data, cioè, in cui il monaco benedettino iniziò la produzione di vino in un monastero vicino Epernay. Fu proprio durante tale soggiorno che, si dice per caso, quest’ultimo si accorse che errori nel processo di vinificazione, o l’aggiunta di lieviti e altre sostanze, creavano un nuovo tipo di vino bianco dal gusto gradevole e dalle proprietà effervescenti (trattasi del processo che oggi è conosciuto come rifermentazione).
Successivamente, a partire dal 1950, il mito dello champagne è arrivato anche in Formula Uno come nei motori in generale, dove viene ancora oggiregolarmente utilizzato nei festeggiamenti post gara. La prima apparizione si fa risalire al 2 luglio proprio del ’50, al termine del Gran Premio di Francia a Reims-Gueux, quando il pilota argentino Juan Manuel Fangio – non uno a caso – ricevette in regalo una prestigiosa bottiglia di Moët & Chandon. Bisogna attendere ben 16 anni, però, perché nasca il rito dello “Champagne Spray”, ossia il gesto di spruzzare champagne sulla folla, prima grazie al vincitore della 24 ore di Le Mans del ’66 Jo Siffert – a cui capitò casualmente di aprire una bottiglia precedentemente agitata e di riversarne il contenuto sul pubblico – e poi l’anno dopo per merito di Dan Gurney, sempre in Francia, che si prese la briga stavolta di schizzare i presenti di proposito. Ed è proprio dal 1967, infatti, che la tradizione ha preso il là in F1, finché poi, proprio lì dove era nato, con l’arrivo della legge Evin, lo champagne viene messo al bando. Siamo nel 1991.
Le bollicine torneranno solamente sei anni dopo, nel 1997, a Magny Cours, quando Bernie Ecclestone manda alcuni dei suoi assistenti a comprare delle bottiglie e le fa portare sul podio. La legge Evin, così, che era stata promulgata per limitare le pubblicità di prodotti alcolici o legati al tabacco (soprattutto in F1, dove la maggior parte degli sponsor li trovavi sui pacchi di sigarette), perde praticamente valore. In un attimo.
Oggi, lo champagne che bagna i podi di Formula Uno da almeno quindici anni è quello prodotto dalla casa Mumm, che ha sede a Reims, e che consta di almeno quattro bottiglie di Cordon Rouge, uno champagne classico realizzato a base di Pinot Noir (45%), Chardonnay (30%) e Pinot Meunier (25%), impiegando uve classificate come le migliori al mondo. Insomma, un bello spreco non berlo.
A tal proposito se ne sarà fatta una ragione Lewis Hamilton, che è finito addirittura sotto accusa, dopo lo scorso Gran Premio di Cina, per aver spruzzato il suo champagne contro la hostess sul podio; dall’altro lato, invece, in Bahrain avranno sicuramente sorriso i produttori di Waard (la bevanda analcolica utilizzata per legge al posto dello champagne nello stato arabo) che hanno visto un Kimi Raikkonen forse più assetato di alcol che di vittoria. Ci dispiace Kimi, perché l’acqua di rose non ha propriamente lo stesso effetto di un vino…o della birra, che è quella che Gilles Villeneuve si fece portare nel 1978, quando salì sul gradino più alto del podio del suo circuito di casa, a Montreal (dove peraltro di birra ci sono veri intenditori).
Insomma, che sia acqua di rose, sakè, champagne o acqua, meglio berlo finché è offerto. Raikkonen docet.
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Nicola Puca