Napoli è una città molto particolare dove il mito e il sovrannaturale, la vita e la morte, si intrecciano. Non a caso De Crescenzo sostiene:
«Dalle nostre parti con la morte c’è confidenza».
Insomma Napoli è la città che va a braccetto con lo schiattamuorto. Ciò non significa che sia una città cupa, anzi, l’ironia regna sovrana. Il napoletano ama scherzare sulle disgrazie ed infatti, almeno una volta nella vita, una nonna o una madre avrà detto al nipote o figlio «Puozze sculà!» in un momento di esasperazione a causa di qualche marachella fatta.
Ma cosa significa questa frase? E da dove deriva?
Dunque, sculà deriva da scolare, ovvero sgocciolare. Questo termine è riferito ad una pratica macabra che aveva luogo nelle catacombe. Precisamente nelle catacombe di San Gaudioso, le quali sono le seconde più ampie dopo quelle di San Gennaro. In questo ipogeo, i defunti venivano fatti sedere sulle cantarelle, ovvero sedili di pietra, ove rimanevano finché dal corpo non fossero colati i liquidi. Quando si riteneva che il cadavere fosse del tutto asciutto, il corpo veniva portato in un ossario comune, mentre il cranio restava fuori infisso nel muro, poiché si pensava che in quest’ultimo risiedesse l’anima, ed infine si dipingeva il corpo sulla parete. Questa pratica veniva effettuata solo su persone appartenenti alla Chiesa e sui nobili.
Defunti: non finisce qui.
In una millenaria cava di tufo sorge il cimitero delle Fontanelle chiamato così perchè in passato vi era la presenza di fonti d’acqua, ma detto anche delle “cape ‘e morte” o delle anime pezzentelle che custodisce le vittime della peste del 1656 e del colera del 1836. Vi sono molte leggende legate ad alcuni teschi.
Basti pensare a Capa rossa, il postino dai capelli rossi che appare in sogno recapitando notizie importanti, o il teschio di Concetta il quale, inspiegabilmente, è sempre lucido rispetto agli altri e di conseguenza i fedeli affermano che ciò sia dovuto al sudore delle anime del Purgatorio. I napoletani considerano il Capitano un’anima pia perché si dice che, con le sue intercessioni nel mondo dei vivi, abbia aiutato moltissimi devoti. Su questo teschio ci sono diverse leggende, ma la più famosa è sicuramente quella dei due sposini. La versione più acclamata di questa leggenda è quella che narra di una giovane promessa sposa che aveva un’autentica venerazione per il teschio del Capitano, per cui ogni giorno si recava al cimitero a fargli visita nonostante la disapprovazione del suo promesso sposo. Un giorno il giovane chiese di accompagnarla perché curioso di vedere con i suoi occhi il famigerato teschio e desideroso di sfatare quella credenza popolare. Una volta giunti nella cava, il giovane con spirito canzonatorio e irriverente infilò un bastone nella cavità dell’occhio del teschio e scherzosamente lo invitò al suo matrimonio. Il giorno delle nozze arrivò e tra gli invitati apparve all’improvviso un uomo sconosciuto in divisa da carabiniere. Lo sposo incuriosito da quella strana presenza si avvicinò e ovviamente gli chiese di qualificarsi. L’uomo misterioso gli ripose che era stato proprio lui ad invitarlo al suo matrimonio ricordandogli che in quell’occasione si era anche divertito ad accecargli un occhio.
La leggenda narra che a quel punto il Capitano aprì la giacca della sua divisa e invece del corpo di un uomo apparvero solo le ossa dello scheletro. Alla vista di quella scena i due novelli sposi, per il terribile spavento, morirono sul colpo. Si dice che le ossa dei due novelli sposi siano conservate ancora oggi nella prima stanza del Cimitero delle Fontanelle sotto la statua di Gaetano Barbati.
Racconta lo storico napoletano Aldo De Gioia:
“Bisogna tener presente che, tra le figure di fantasmi, a Napoli O Capitano ‘re Fontanelle è molto importante, anche se, più che a un capitano, molti tendono ad attribuire lo scheletro in questione a un carabiniere. defunti defunti defunti
Dei fatti strani riguardanti questo posto esistono veramente, lo so perché li ho toccati con mano. Parlando delle Fontanelle, mi ricordo che una signora che abitava nel mio palazzo, risiedevo nella Napoli antica in tempo di guerra, aveva due figli, due giovani di circa vent’anni, che erano partiti per il fronte, non avendone poi però più notizie. Consigliata da alcune amiche, una mattina, era il mese di luglio del ’43, andò al Cimitero delle Fontanelle e riuscì a parlare con colui che fungeva da guardiano. Dietro compenso, il guardiano pregò questa signora di tornare il giorno successivo, poiché le avrebbe lasciato la chiave di quel luogo. “Pregate la testa del capitano – fece – e non vi preoccupate”. La mattina dopo la signora tornò, trovò la chiave, aprì ed entrò così nel cimitero. Si avvicinò subito al teschio del capitano, s’inginocchiò e lo pregò come se fosse stato un santo. Dopo una decina di minuti, sentì dei passi come di più persone che stessero per entrare.
Si girò e vide due carabinieri. La cosa le diede un sospiro di sollievo, non era più da sola e a maggior ragione, anzi, se si trattava di carabinieri. Il tempo di girarsi un’altra volta, i carabinieri erano svaniti, ma sentiva ancora i passi. Presa dalla paura, tornò indietro, salì tremante le scale e trovò la porta chiusa a chiave così come l’aveva lasciata lei. Tirò fuori la chiave, aprì e pensò a come quei due carabinieri potessero essere entrati se la porta era chiusa. Scappò via in condizioni pietose, piangendo.
Una volta arrivata a casa, ricevette la visita di due carabinieri! Come se li vide davanti, la signora svenne. Fatta rinvenire, i carabinieri le comunicarono la notizia da lei tanto ardentemente attesa. Avevano infatti con sé due lettere scritte dai figli della signora, aperte, dato che allora vi era la censura: stavano bene e ben presto sarebbero tornati a casa!”.
Insomma, il napoletano dinanzi alla morte non scappa, anzi, si prende gioco di lei ma, al contempo, nutre una forte devozione per i defunti.
Ulteriori informazioni: Cimitero delle Fontanelle
Ilaria Cozzolino e Sabrina Mautone