Trivelle in azione, fauna ittica decimata, ecosistema irrimediabilmente compromesso e le acque di quel mare di cui tanto ci vantiamo che sembrano ormai un enorme e salato Stige infernale di dantesca memoria. Questo lo scenario, a dir poco cupo, prospettato da Greenpeace attraverso la sua nuova campagna online TrivAdvisor (parodia del celeberrimo portale di viaggi), che in un 2020 che, a questo punto, vorremmo fosse tanto lontano, illustra una situazione apocalittica di alcuni tra i più bei siti balneari e pescosi del Belpaese.
Per Andrea Boraschi, responsabile della campagna “Energia e clima” di Greenpeace “mai come oggi si assiste ad una frettolosa vendita all’ingrosso dei nostri mari“. Recentemente infatti il Ministero dell’Ambiente, attraverso tutta una serie di decreti, sta concedendo ai petrolieri delle vaste e pregiate aree marine (in Puglia, in Abruzzo e in due aree del canale di Sicilia), che serviranno alla holding petrolifera come luogo di ricerca e produzione di idrocarburi. Tutto questo sotto l’infame egida della compatibilità ambientale. Così, mentre i paesi più industrializzati e tecnologicamente avanzati si mobilitano per ridurre al minimo l’impatto della loro produttività sull’ambiente, l’Italia fa, come spesso accade, la parte della bella addormentata, sempre in ritardo coi tempi.
La svendita delle coste alle major del petrolio è infatti totalmente in contrasto con il progetto internazionale di sviluppo sostenibile, sia sostenibilità forte che debole. Nel 1987, la pubblicazione del documento Our Common Future, elaborato dalla Commissione Mondiale sull’Ambiente (WCED), meglio noto come Rapporto Bruntland (da Gro Harlem Bruntland, il ministro norvegese che lo redasse), stabiliva che la chiave dello sviluppo sostenibile fosse “Soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri“. Mentre il mondo va verso un progressivo svincolo dai combustibili fossili, il nostro paese lascia che delle compagnie private violentino le proprie coste, e di conseguenza lo stesso stile di vita di chi le abita e da esse trae sostentamento, per intascare un po’ di denaro.
Mentre la corrente di pensatori che appoggia la sostenibilità forte, afferma con decisione che i beni naturali non debbano essere in alcun modo intaccati, la corrente della sostenibilità debole mantiene una linea meno radicale e più graduale nell’applicazione, ponendo come fondamento per la sopravvivenza il fatto che i beni naturali possono essere degradati se, e solo se, il loro deperimento porta alla produzione di beni materiali che rendano accettabile tale deperimento. In parole povere, il gioco deve valere la candela. C’è quindi da chiedersi se in questo caso valga la pena sacrificare ulteriormente uno dei nostri beni più preziosi per qualche goccia di pessimo greggio.
In molti la risposta l’hanno già data. TrivAdvisor infatti, sembra mostrare fin da subito la sua efficacia, tanto che dal momento della sua creazione ha raccolto oltre 23 mila NO alla concessione dei nostri mari ai petrolieri. In attesa di novità significative (e si spera favorevoli) per quel che riguarda la sorte di un settore, quello marittimo, già spudoratamente e ripetutamente violato come quello degli ecosistemi marittimi (vedesi la vergognosa situazione di Bagnoli) con tutte le ripercussioni sul turismo e la pesca che ne conseguono, non possiamo che palesare la nostra preoccupazione e la nostra inquietudine davanti ad una battaglia che sembra, fin da adesso, non avere alcun vincitore ma, soltanto ed in modo inesorabile, vinti.
Domenico Vitale