Le reali possibilità che l’Italia Under 21 passasse il girone erano minime dopo la sconfitta rimediata contro la Polonia. La speranza, però, è sempre l’ultima a morire, e quindi ci abbiamo sperato, invano. Il miracolo a Cesena non avviene, Francia e Romania portano a casa un soporifero zero a zero e spediscono gli azzurrini di Di Biagio a casa anzitempo. Centrano, dunque, la semifinale entrambe e affronteranno le vincenti dei gruppi A e B: Germania e Spagna. Entro domenica sapremo chi sarà la migliore Under 21 di questa edizione degli Europei. Una certezza l’abbiamo, non saremo noi, ancora una volta.
L’Italia resta sempre al comando del medagliere di questa competizione, nonostante non trionfi dal lontano 2004 – anno in cui raggiunse anche la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Atene. E male che vada, la Spagna raggiungerà gli azzurrini a cinque trionfi. Mai come questa volta, però, vi è il rimpianto di non essere arrivati fino in fondo, per due motivi. Il primo è semplicisticamente la gioia di poter festeggiare in casa un traguardo importante (prima volta assoluta che l’Italia ospita la manifestazione). Il secondo riguarda il talento assoluto di questa Under 21, non solo non inferiore a nessuna delle altre concorrenti ma, soprattutto, di un livello che non si vedeva da molti, troppi anni. Il rammarico, quindi, è dovuto, ma tra chi parla di possibile biscotto – riesumando vecchie ferite – e chi di fallimento, vi è la possibilità che si perda di vista l’obiettivo delle competizioni giovanili: crescere.
RIMPIANTO
La partenza con la Spagna aveva fatto ben sperare, aveva creato l’illusione – giustificata – di un’Italia pronta a poter competere fino in fondo. Ed è stata progettata perché lo facesse. Se osserviamo tanti giocatori che hanno fatto parte di questa spedizione, possiamo notare come alcuni nomi stonino, siano un po’ fuori contesto, perché sono già ad un punto talmente alto da essere non solo già nel giro della nazionale maggiore, ma addirittura dei punti fermi attorno cui costruire parte della rosa che dovrebbe partecipare ai prossimi Europei itineranti. Di solito, l’Under 21 serve a valorizzare quei giocatori talentuosi ma non ancora maturi abbastanza per poter fare il salto definitivo. Invece, di questo gruppo hanno fatto parte anche Federico Chiesa, Lorenzo Pellegrini e Niccolò Barella, tre ragazzi che certamente non avevano bisogno di questa vetrina per mettersi in mostra. Uno di loro, Pellegrini, è già titolare in pianta stabile di una grande realtà, gli altri due potrebbero presto fare lo stesso percorso.
Il motivo di queste convocazioni è facilmente intuibile: dopo anni di continui fallimenti della nazionale azzurra, a tutti i livelli, vincere un trofeo – a casa, per giunta – avrebbe dato lustro ad un movimento calcistico che negli ultimi anni ha dovuto leccarsi parecchie ferite, ancora non rimarginate.
Si è creata così un’aspettativa molto elevata attorno all’Italia di Di Biagio. Forse troppo elevata. Pretendere che dei ragazzi di appena vent’anni riuscissero a sobbarcarsi il peso di anni di fallimento è stato ingeneroso, da parte nostra. Da una parte vincere queste competizioni è sì importante, ma non rappresentano né il motivo principale né lo spirito giusto con cui dovrebbero essere viste competizioni di questo tipo.
Il calcio giovanile dovrebbe avere come fine ultimo quello di mettere i ragazzi nelle condizioni migliori per esprimersi, per sbagliare, per apprendere e così fare esperienza. Non è certo vincendo un Europeo Under 21 che si riscatta l’orgoglio nazionale, come aveva dichiarato anche Di Biagio stesso alla vigilia: “Per la prima volta nella storia della FIGC, U17, U18, U19, U20 e U21 arrivano nello stesso anno alle fasi finali dei tornei internazionali” ha dichiarato ai microfoni de L’Ultimo Uomo. “[…] Puoi vincere un Europeo Under 21 ma se poi per otto anni sparisci significa che il lavoro non è stato corretto. Che ci sei arrivato per l’annata buona e poco altro. Noi invece ci stiamo confermando, stiamo costruendo un percorso.”
FUTURO
Percorso. L’ultima parola è quella più importante, quella che dovremmo tenere a mente quando commentiamo i risultati di quest’Italia, come quelli dell’Under 20. Tutto quello che si costruisce nelle giovanili serve per permettere poi a questi ragazzi di poter fare la differenza nelle competizioni in cui realmente vogliamo che la facciano. E da quanto visto in questi ultimi giorni, ma anche nel corso di tutta l’ultima stagione, ci sono buoni motivi per sperare in un futuro radioso. Negli ultimi anni, la cosa più preoccupante non sono state le eliminazioni ai gironi in Sud Africa e Brasile, quanto la rassegnazione nel constatare l’inesistenza di un ricambio generazionale. Abbiamo saltato una decade. La vittoria di Berlino è stata la vittoria della leva calcistica dei ’70. E la grandezza di quella generazione non sta nel livello dei convocati, ma di quelli che sono stati esclusi – Christian Vieri su tutti – a testimonianza del grande patrimonio calcistico-umano che avevamo a disposizione. Dagli anni Ottanta, invece, è venuto fuori poco, soprattutto se consideriamo che i campioni precoci come Barzagli, De Rossi e Gilardino facevano già parte dei ventitré di Germania 2006. Abbiamo avuto tre giocatori di assoluto livello come Chiellini, Bonucci e Marchisio– e non è forse un caso che abbiano fatto parte di uno dei cicli più importanti della storia calcistica italiana – e un rimpianto enorme come Antonio Cassano. Per il resto, poco altro. Marchetti e Viviano erano considerati gli eredi di Buffon, così come Aquilani e Montolivo quelli di Pirlo. Candreva da mezz’ala di centrocampo doveva affermarsi come grande esterno. Il presente ci dice altro. Senza dimenticare Giuseppe Rossi, forse il più grande talento inespresso che si sia mai visto in questo paese, fermato dai continui infortuni.
La generazione degli anni Novanta sembrava aver preso la piega della precedente. Verratti a parte, nessun italiano è riuscito ad imporsi con così tanta veemenza in campo internazionale in questi anni. Insigne e Immobile sono due diventati forti, ma ci aspettavamo forse qualcosina di più. Per Balotelli vale lo stesso discorso di Cassano. Rugani sembra essere rimasto quel che era ad Empoli, chissà che l’avere di nuovo Sarri come allenatore non possa giovargli.
I giovanissimi, però, promettono più che bene. Forse è questo ciò che dobbiamo prendere di buono da questi Europei e da questa Under 21. Di Chiesa, Barella e Pellegrini sapevamo già, ormai sono diventati una certezza. Cutrone ha confermato di avere il fiuto del gol, Zaniolo – nonostante una competizione decisamente sottotono – di essere un predestinato. Mandragora e Tonali – senza dimenticare Sensi – possono diventare qualcosa di davvero speciale. E poi ancora Mancini, Orsolini, Bastoni, Kean e Meret. Così tanti nomi, così tanti talenti, così tanta speranza. L’Italia del futuro avrà forse “fallito” l’obiettivo di breve periodo, ma ha tutto il tempo che le serve per poter aspirare ad un domani radioso. La distanza che separa il talento dal divenire un campione, però, deve essere colmata dal lavoro. Ogni generazione ha le sue speranze, i suoi fiori all’occhiello, ma solo il tempo saprà dire chi di loro ha la stoffa per tenere fede alle aspettative.
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Michele Di Mauro