Negli ultimi anni si leggono frequentemente notizie riguardanti episodi di violenza sugli animali, in particolare da parte di adolescenti. Ricordiamo il cane Angelo, torturato e ucciso barbaramente da quattro ragazzi di Sangineto, la gallina finita a suon di calci da un gruppo di ragazzi di Padova mentre festeggiavano un compleanno e la capretta seviziata e colpita a morte da altri sette ragazzi di Fiuggi poche settimane fa, sempre durante una festa di compleanno. Una escalation di mostruosità che nell’arco di un decennio sono state sdoganate anche dall’uso dei social network. Per cercare di comprendere cosa li porta a commettere tali empietà bisogna addentrarsi nei meandri della psiche degli adolescenti.
Nel libro intitolato “Noi abbiamo un sogno”, la psicologa Annamaria Manzoni scrive che «la crudeltà è il frutto della disregolazione emotiva, di pulsioni che sfuggono al controllo» e culmina nel sadismo. Il male è parte di noi, anche se tendiamo a esorcizzarlo. La specie umana, come affermava Dostoevskij, vive in una dimensione dicotomica di bene e male: esistono persone moralmente integre e altre capaci di indicibile ferocia verso tutti gli individui, animali e umani. Il male si esplicita nelle forme più disparate – impiccagioni, arsioni, abusi sessuali, vandalismo, omicidi, etc. – e in genere viene rivolto ai più indifesi come persone senza fissa dimora, donne, bambini e animali. Questi ultimi sono presi particolarmente di mira in quanto non hanno voce e non sono capaci di difendersi. Ciò significa che le soperchierie subite non possono essere rivendicate dalle vittime, o solo raramente può essere comminata una (minima) pena quando vengono commesse di fronte a testimoni o quando vengono addirittura filmate e pubblicate sui social.
La crudeltà sugli animali è, assieme alla piromania e all’erunesi, uno dei comportamenti anticipatori facenti parte della “Triade di MacDonald”, teoria che prende il nome dello psichiatra americano che l’ha postulata, secondo cui queste tre abitudini sarebbero tipiche dell’età infantile e adolescenziale dei serial killer. Lo zoosadismo, ovvero il disturbo psicologico che porta l’individuo a provare piacere nel torturare e uccidere un animale, è un fenomeno che nell’infanzia e nell’adolescenza non deve essere sottovalutato, tanto è vero che persino l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’American Psychiatric Association, rispettivamente nell’International Classification of Mental and Behavioural Disorders e nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, lo classificano come uno dei sintomi del disturbo di condotta che in età adulta può evolvere nel disturbo antisociale della personalità.
Recentemente a rafforzare lo zoosadismo è l’esibizionismo, l’ostentazione di sé e delle proprie res gestae sui social. Il “narcisismo digitale”, come lo definisce lo psicologo Federico Fortunato, in età adolescenziale è diventato una vera piaga. Pubblicare foto e video che mostrano le efferatezze verso gli animali o situazioni pericolose ed estreme, come le varie sfide, è un modo per emergere tra i pari e allo stesso tempo accrescere l’autostima attraverso la considerazione degli altri espressa in “like”: publico, ergo sum. Benché non necessariamente gli adolescenti che commettono queste nefandezze nei confronti degli animali soffrano di un conclamato disturbo di personalità narcisista, il loro comportamento ha alcuni tratti specifici di questa patologia, ad esempio, il nutrimento e la fortificazione dell’ego mediante l’attenzione ricevuta dagli altri. Un’ulteriore peculiarità comune al narcisismo patologico è la totale mancanza di empatia. L’obiettivo da raggiungere è ottenere la notorietà in un batter di ciglia, senza faticare, e per questo motivo si è disposti a tutto, agendo con spietata insensibilità e malvagità. E procurarsi un animale o trovarlo per caso sul proprio cammino è facile, come è facile torturarlo, nella totale alienazione dalla realtà, senza percepirne il dolore, sino a infliggergli l’ultimo colpo, letale, che porta al culmine del divertimento e del piacere.
Alla luce di tutto ciò è obbligatoria una riflessione, anche da una prospettiva olistica. Quando si commettono questi atti non muoiono soltanto gli animali, ma pure l’umanità di cui tutti facciamo parte. Lo spiegava chiaramente il poeta S. T. Coleridge nella “Ballata del vecchio marinaio”: l’uccisione senza motivo di un albatros ad opera del marinaio simboleggia l’uccisione dell’intero Creato. Tutti noi, sebbene differenti, siamo infatti collegati a un’anima comune universale: l’anima mundi. Siamo tutti vittime. Allo stesso tempo però siamo anche complici, in quanto allo squilibrio e alla disarmonia creati non partecipano unicamente gli adolescenti, ma l’intera collettività, se questa non insegna il valore e il rispetto della vita di ogni essere vivente.
Parallelamente, occorre che vengano inflitte pene più severe. Ad oggi chi commette atti di crudeltà verso gli animali paga il debito con la giustizia con una multa e raramente con la carcerazione, che nella peggiore delle ipotesi viene commutata in arresti domiciliari o si risolve in pochi mesi di reclusione. Alla fine, il vecchio marinaio fu condannato a errare per raccontare il suo misfatto, dopo che entrando in comunione con i serpenti marini capì che tutte le creature della Terra devono essere rispettate e amate. È difatti importante sensibilizzare le persone sin dalla giovane età al rispetto per gli animali, come condizione per poter vivere in armonia nella società, e far comprendere che le azioni scellerate comportano delle conseguenze. Affinché ciò si avveri servono interventi incisivi che affrontino il problema nella sua totalità, in maniera interconnessa e interdipendente.
Questi comportamenti attuati in età adolescenziale non sono da imputare meramente alla nascita dei social. I social sono strumenti che possono essere utilizzati anche in modo proficuo. L’origine di questa totale mancanza di rispetto per gli animali è da ricercare in primis nella famiglia, poi nella società, nella scuola e nelle istituzioni, che in qualche modo sono incapaci di reagire a questa emergenza. Per quanto riguarda le scuole, insieme alle iniziative mirate a educare al rispetto per le donne, i pari e le leggi, si potrebbero includere progetti sui temi del rispetto degli animali e della natura.
L’empatia provata esclusivamente per i propri simili è un’empatia specista, o potremmo definirla anche proto-empatia. Per comprendere il meccanismo di coinvolgimento emotivo è utile immaginare una piramide. A rigor di logica, infatti, si dovrebbe cominciare a provare empatia per gli animali, relegati dalla maggioranza degli esseri umani nel primo e più basso gradino della struttura, in quanto i più oppressi, i più sfruttabili e diversi biologicamente; dopodiché, questo impulso emotivo può essere esteso agli altri, man mano che si sale. Come in qualsiasi piramide, anche nella piramide dell’empatia non è possibile scavalcare il primo livello e giungere direttamente a quello dove sono collocati i propri simili. Nel momento in cui si sceglie una categoria oltrepassando quella degli animali decade, per ovvi motivi, il principio stesso di empatia. In questo caso non si può parlare di habitus empatico, ma piuttosto di un selettivo sentimento di vicinanza rivolto a uno o più gruppi di sofferenti appartenenti essenzialmente alla specie umana. L’empatia specista non osserva i criteri della logica, non è conciliabile con il vero concetto di empatia, perché la pietas si prova a prescindere dalle categorie di svantaggiati e dalla specie di appartenenza. A tutti gli effetti, si tratta solamente di una ossimorica e contrastante partecipazione al dolore altrui.
Va aggiunto infine che l’atrofia dell’empatia verso gli animali si amplifica e crea uno squilibrio che si evolve anche a livello planetario; prendiamo il caso degli allevamenti intensivi, che – stando ai dati della FAO – sono la causa della morte di ben 60 miliardi di animali ogni anno nei Paesi dell’Onu. Oltre che produrre inquinamento ed emissione di gas serra, queste pratiche fomentano un abominio che, secondo premi Nobel come Singer e Coetzee e alcuni dei sopravvissuti alla Shoah, ha dinamiche analoghe a quelle avvenute nei campi di sterminio durante la Seconda Guerra Mondiale.
Va da sé che è difficile sensibilizzare i giovani al rispetto di tutte le vite quando allo stesso tempo si perpetrano e normalizzano gli orrori a danno di altri animali negli allevamenti, nei laboratori di sperimentazione animale e di pellame e con leggi come la caccia agli animali selvatici addirittura nei centri abitati. Sinché non si considererà una nuova visione degli animali, una visione antispecista, sinché non si delineerà quello che un altro premio Nobel, Albert Schweitzer, chiamava nuovo umanesimo, ovvero un umanesimo secondo cui si deve provare empatia anche per il più piccolo insetto, e sinché non si determinerà un vero e proprio biocentrismo assiologico continueranno ad accadere questi fatti e resteremo inermi di fronte a essi.
Giannella Biddau