Negli ultimi anni la questione dell’approvvigionamento energetico è stata posta diverse volte, dai politici come dagli uomini di scienza, tra le tematiche fondamentali per il futuro della nostra società.
Questa centralità acquisita ritrova ragioni sia nel costante incremento del consumo energetico mondiale (alimentato soprattutto dalle superpotenze industriali come la Cina), sia nello stretto legame che la produzione ed il consumo di energia hanno con il riscaldamento globale ed altri problemi ambientali dettati dall’inquinamento.
E’ fin troppo facile ritrovare la causa di molti di questi problemi nell’utilizzo dei combustibili fossili (tra i quali spicca, come noto, il petrolio), che tra l’altro rappresentano una fonte di energia destinata all’esaurimento e con elevatissimi tempi di rinnovo.
Per questo, da diversi anni la scienza si è concentrata sulla ricerca di fonti alternative, tra le quali, al momento, vengono preferite quelle provenienti dal vento (sfruttate tramite l’uso delle celebri “pale eoliche”) e dal sole (per le quali invece si è sviluppato l’uso di pannelli sempre più efficienti).
Come spesso accade, una possibile risoluzione ai problemi dell’uomo (in questo caso l’approvvigionamento energetico) è stata fornita dalla natura; le piante di tutto il mondo sfruttano giornalmente l’energia solare per effettuare la fotosintesi clorofilliana, necessaria per il loro sostentamento.
Così l’uomo ha pensato a sua volta di sfruttare l’energia solare per convertire l’acqua in una sostanza chimica dall’elevato contenuto energetico, ovvero il gas di idrogeno.
Il problema è rappresentato dalla produzione dello stesso idrogeno che non è presente in natura “slegato” da altri elementi. Esso viene di solito ottenuto a partire dai cosiddetti processi di “water splitting”, che prevedono la sua separazione nelle molecole d’acqua dagli atomi di ossigeno.
Un sistema per la produzione di queste sostanze deve fondamentalmente garantire un’elevata efficienza, ma anche una certa sostenibilità dal punto di vista economico, direttamente connessa anche alla possibilità di realizzare il processo attraverso l’utilizzo di materiali non eccessivamente dispendiosi; tutto questo allo scopo di ottenere sistemi fotovoltaici ad alta efficienza capaci di portare le reazioni idrolitiche su scala modulare.
Il problema dell’efficienza energetica potrebbe essere risolto grazie a film (ovvero degli strati assimilabili a pellicole) molto sottili di perovskite.
Questo nome potrà dirvi poco, ma, per capire l’entità dell’innovazione che potrebbe introdurre, basti pensare che garantisce ottime prestazioni in efficienza del sistema fotovoltaico pur essendo composta da materiali piuttosto comuni sulla Terra e, per questo, a costi limitati.
I test effettuati sulla perovskite, quindi, potrebbero rappresentare un importantissimo passo in avanti nell’individuazione di quel materiale capace di garantire tutti i requisiti richiesti ad un sistema per la produzione dell’idrogeno.
Questo, ovviamente, darebbe una grande spinta verso un futuro in cui l’idrogeno potrebbe ricoprire un ruolo centrale tra le fonti d’energia.
Alessandro Mercuri