Steve Kerr mette al tappeto il suo maestro. Curry ancora una volta alieno.
Era dal 15 gennaio 1967 (Boston Celtics – Philadelphia 76ers) che due squadre non si affrontavano a questo punto della stagione con un record combinato così elevato (78-10). La sfida delle sfide di questa prima parte di regular season, secondo molti. E, invece, niente. Golden State umilia San Antonio, così come aveva fatto pochi giorni fa con le altre pretendenti al titolo, Cleveland e Chicago. Stephen Curry, uscito alla fine del terzo quarto sul +27, ha chiuso con 37 punti (60% campo) in appena 28 minuti.
IL DUELLO – Gli Spurs si presentano alla Oracle Arena senza Tim Duncan, sostituito in quintetto da David West. Pronti e via, Curry infiamma immediatamente il pubblico facendosi passare la palla dietro la schiena e appoggiando alla tabella per il lay up del vantaggio. Popovich chiama subito il time-out: non vuole che Golden State prenda ritmo. Inoltre, effettua il primo adjustment spostando Leonard in marcatura sul #30. Mossa vana. Gli Warriors prendono immediatamente il toro per le corna, facendo circolare fluidamente la sfera e mettendo in difficoltà il miglior sistema difensivo dell’intera Lega: 9 dei primi 11 canestri sono serviti. San Antonio, confusionaria e imbrigliata, gioca male e dopo soli 12 minuti nella casella delle palle perse c’è scritto 8, Curry è già a 15 punti (3/4 da tre) e lo svantaggio è di 7 lunghezze (29-23).
Se la differenza si è intravista subito, con lo scorrere dei minuti è ancora più evidente. Il dato che colpisce di più è l’inefficacia della panchina degli Spurs – definita da tempo come la migliore – contro le seconde linee di Golden State. La manovra offensiva dei ragazzi di Pop è lenta e difensivamente gli accoppiamenti non sembrano mai mettere in difficoltà i campioni del mondo. Livingston e Klay Thompson iniziano a scavare la buca, poi ci pensa Curry a sotterrare il miglior difensore della Lega, Kawhi Leonard: finta, step back e tripla. Baia in delirio per il suo Mvp. All’intervallo, padroni di casa avanti di 15 (62-47): 13 palle perse e 62 punti subiti costituiscono un record stagionale negativo per i texani.
TERZO QUARTO – Come Muhammad Ali, gli Warriors prima ti mettono alle corde e poi sferrano il colpo del definitivo ko. E così come accaduto in Ohio qualche giorno fa, la vittoria viene tracciata già nel terzo periodo. L’atteggiamento vincente di coach Kerr che, nel secondo quarto, si è beccato un tecnico nonostante il vantaggio già cospicuo, si riflette sulla squadra che apre la ripresa come se la gara fosse ancora sullo 0-0: Curry e Green mettono la quinta e combinano 15 dei 17 punti totali della squadra. +21 Golden State. A questo punto è uno show del ragazzo di Akron, che uscirà a 1’08” dalla fine con 18 punti di parziale e 37 in totale. Ovazione del pubblico e partita già conclusa. L’ultimo periodo è garbage time. 120-90 il finale.
POST-GARA – «Sono già contento di non essere stato licenziato» ha apostrofato Popovich al termine della gara, riferendosi a quanto successo a Cleveland nelle ore precedenti. Una battuta, con una vena critica (?), che comunque non nasconde la delusione del tecnico cinque volte campione. Una battuta che, in fondo, ci sta, dal momento che «this is just another regular-season game», come ha dichiarato Stephen Curry. Detto questo, ovviamente, non è un risultato che può essere preso con le pinze da parte degli Spurs, non tanto per la sconfitta, quanto per la sensazione di netta inferiorità che non sembrava potesse esserci, soprattutto considerando che Golden State si era aggiudicato solo uno degli ultimi sette precedenti.
Insomma, San Antonio sembra uscire leggermente ridimensionata da questa gara, ma attenzione, perché molte volte è capitato che, nel corso della stagione regolare, la squadra concedesse molto per poi chiudere la saracinesca ai playoff, quando conta davvero. Riusciranno gli Spurs anche questa volta a sorprenderci? Ovviamente, solo il tempo ce lo dirà. Prossimo incontro tra le due franchigie il 30 marzo, a pochissimi giorni dalla post-season. Lì forse potremo avere le idee più chiare, sperando, ovviamente, che non sia un’altra men and boys out there, per dirla alla Popovich.
Golden State, dunque, continua a vincere, convincere e ammaliare. E Steph Curry sembra essere, ormai, sempre più di un altro pianeta. Del resto, non è un caso che gli X-Files siano stati riaperti quest’anno.
Michele Di Mauro