L’eccessivo ricorso ai parti cesarei in Campania al centro del dibattito regionale sui grandi temi della sanità.

Il Presidente della Regione De Luca ha duramente commentato gli eclatanti dati sul numero di parti cesarei eseguiti in Campania: secondo De Luca, è inaccettabile che le nascite con cesareo rappresentino addirittura “il 90% del totale”. Grazie a questo vero e proprio record negativo, la regione si colloca ben al di sopra della media nazionale, che registra solo il 35,5% di nuovi nati “chirurgici”, nonché agli antipodi rispetto a regioni come la Lombardia, in cui la rinuncia al travaglio naturale avviene solo nel 5% dei casi. Il Presidente, addebitando la responsabilità di simili risultati ad “una delle eredità più vergognose che riceviamo dalla gestione sanitaria degli anni passati”, ha anche annunciato che la Giunta è al lavoro per risolvere definitivamente il problema, come sottolineato dall’hashtag #LaCampaniaRiparte, comparso sui social network.

Le statistiche in materia di parto cesareo sono molteplici e in realtà note da tempo: particolarmente affidabile è il rapporto del Certificato di Assistenza al Parto – CEDAP, un organo che fa capo al Ministero della Salute, che già in ottobre aveva riportato i numeri allarmanti denunciati da De Luca. Sulla base di analisi come questa, nella bozza del nuovo piano regionale sulla sanità, sottoposta dalla Giunta al neo commissario alla sanità Polimeni in dicembre, erano stati proposti i correttivi necessari e non differibili, nell’ambito di una riorganizzazione più generale dell’intero settore sanitario attinente all’Ostetricia, che tra l’altro avrebbe previsto anche la chiusura dei punti nascita con meno di 500 nati all’anno. Per ora, si è agito soltanto in quest’ultima direzione, con alcune tra le meno rilevanti strutture riservate alle nascite che sono state già chiuse. Il dato paradossale è che in quest’inizio di 2016 sono rimasti chiusi anche reparti di Ostetricia e Neonatologia perfettamente a norma, ma per i quali erano ormai urgenti dei radicali interventi di ristrutturazione: è il caso del reparto dell’ospedale Incurabili, la cui precaria condizione aveva suscitato forti polemiche il mese scorso.

La chiusura dei punti nascita di piccole dimensioni, pur se ritenuta necessaria per arginare una delle fonti di maggiore spreco di risorse della sanità campana, insieme alla situazione disperata dei reparti più grandi, rischia però di dirottare molte donne giunte a fine gravidanza verso le cliniche private che, secondo le statistiche, sono tra le maggiori responsabili del ricorso al parto cesareo: infatti quest’ultimo risulta impiegato nelle strutture private nel 53,8% dei casi, contro un’incidenza del 33,1 negli ospedali pubblici. Secondo “Repubblica”, tra le cliniche più coinvolte dall’abuso di ricorso al cesareo ci sarebbe “Villa Cinzia”, con 1019 parti chirurgici su 1083 totali.

L’irresponsabile ricorso al cesareo nel privato risulta ancora più inspiegabile se si considerano alcuni dati di fatto: innanzitutto, come spiega il capogruppo di Campania Libera e Verdi e componente della Commissione Sanità, Borrelli, questo tipo di intervento “costa 2458 euro, oltre mille euro in più rispetto al costo del parto naturale che ha una media nazionale di 1318 euro”; in secondo luogo, la potenziale dannosità del cesareo per madre e bambino è acclarata, ed è stata ribadita anche dall’AGENAS, l’Agenzia delle Regioni, secondo cui il ricorso a questa pratica va effettuato solo in presenza di precondizioni specifiche. Non può essere un caso, del resto, che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità abbia fissato la percentuale accettabile di parti cesarei nell’ordine solo del 15% delle nascite.

Quali sono allora i motivi del boom dei cesarei in Campania? In breve, sottocultura, terrorismo psicologico sul parto naturale perpetrato dai medici nei confronti nelle future mamme, interessi economici delle cliniche private che troppo spesso si sostituiscono al servizio sanitario pubblico nell’erogazione dell’assistenza ostetrica. Per correggere l’emergenza-parti si dovrà pertanto innanzitutto riqualificare il ruolo della sanità pubblica, a maggior ragione in una delle regioni con il tasso di natalità tra i più alti d’Italia: sempre secondo Borrelli, in Commissione Sanità sarebbe già pronto un piano per uniformare il costo del cesareo a quello del parto naturale e per applicare penalizzazioni economiche a chi abusa di questi interventi. Dal canto suo, il commissario Polimeni, intervenendo ieri direttamente sulla questione, pur ribadendo che si deve “assolutamente ridurre il numero di parti non naturali“, ha affermato che per giudicare la bontà del ricorso all’intervento bisognerà valutare caso per caso: “non possiamo procedere con sanzioni punitive senza prima aver verificato cosa è accaduto“, ha avvertito. “Il privato accreditato – prosegue Polimeni – è una risorsa importante, (…) ma non può fare a meno di condividere la mission del pubblico“.

Ludovico Maremonti

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui