Nessuno si salva da solo: vecchia massima che si potrebbe adattare anche (forse sarebbe meglio dire “persino”) all’Amministrazione comunale di Napoli guidata da Luigi De Magistris. Un anno disastroso, il 2017, per i conti della città e per la stessa credibilità dell’esecutivo municipale, se n’è andato tra rischi di default, inchieste della Corte dei Conti, creditori insoddisfatti e sempre più infuriati.
Poi, da Roma, è arrivato il Salva-Napoli: 2018, si volta pagina? Sì e no. Tanti punti interrogativi restano. Per fare un esempio, lo scorso anno era iniziato con la richiesta di pignoramento per circa 120 milioni di euro avanzata dal consorzio Cr8 nei confronti del Comune, creditore storico nell’ormai celebre pendenza relativa a fatti risalenti nientemeno che al post terremoto dell’80; oggi, all’alba del 2018, lo stesso Consorzio è sempre lì, a batter cassa ai portoni di Palazzo San Giacomo, per un valore dovuto che nel frattempo, con ulteriori interessi, è (per legge) ulteriormente lievitato. Un credito per il quale è diventato esecutivo, ora, il pignoramento di almeno 24 milioni che, però, in teoria il Comune non può permettersi di vedere congelati.
La vicenda di Cr8, per quanto si possa oggettivamente solidarizzare con la giunta De Magistris per l’opprimente persistenza di una grana finanziaria che affonda le sue radici nella notte dei tempi, rappresenta tuttavia la sintesi perfetta delle montagne russe su cui viaggiano perennemente Napoli e il crepacuore dei suoi cittadini per un dissesto finanziario sempre dietro l’angolo. Una transazione, nello scorso novembre, tra il Comune e Cr8, pareva aver chiuso la questione: 20 milioni subito e sul destino degli altri circa 80 si sarebbe deciso in seguito. Sembrava fatta, nel corso di un autunno – inverno 2017 per molti versi apparentemente risolutivo, se non provvidenziale.
Invece, poche ore fa, la nuova stangata che ha lasciato di stucco lo stesso assessore Panini. «Tutto il resto [del debito, ndr] era di competenza statale perché stiamo parlando di somme, quindi debiti, contratti dal Commissariato straordinario di governo», ha dichiarato un Panini incredulo, all’idea dei flussi di cassa bloccati da un pignoramento inappellabile proprio quei 24 milioni che Cr8 esige a parziale copertura dei circa 80 che sembravano, invece, essere stati “congelati”.
Congelati, peraltro, come osservato dall’assessore, a carico dello Stato, rappresentato da quel governo Gentiloni e dalla sottosegretaria Boschi che è ancora Panini, nel silenzio di De Magistris, ad accusare di voltafaccia ed alto tradimento degli impegni presi col Comune di Napoli. I soldi in cassa in realtà ci sono: il problema è che, essendo diventato esecutivo il pignoramento, è come se non ci fossero più. Per proseguire con la gestione ordinaria, ripete Panini, sarà necessario andare avanti a forza di anticipazioni, aspettando il gettito fiscale in arrivo a giugno.
Certo, nella vicenda Cr8 una certa disattenzione, se non negligenza da parte di un esecutivo forse ora concentrato su vicende elettorali, potrebbe esserci effettivamente stata. Tuttavia, colpisce la dimensione perennemente assistenziale del rapporto fra Roma e Napoli, dopo mesi di polemiche antirenziane da parte del sindaco che hanno lasciato poi il posto – lo si è visto sul caso Bagnoli – ad una collaborazione istituzionale quasi senza precedenti con l’esecutivo Gentiloni. Ecco perché non va dimenticato che si tratta dello stesso Governo che, alla vigilia di Capodanno, ha salvato Napoli dal dissesto. Letteralmente.
Il cosiddetto decreto Salva – Napoli è entrato in vigore nelle ultime ore del 2017, scongiurando l’esito nefasto di quel conto alla rovescia verso il fallimento che ormai media locali e nazionali inesorabilmente scandivano da qualche mese. Non era bastata la dichiarazione di predissesto (strumento amministrativo che aveva previsto la programmazione del piano di rientro per l’abbattimento del debito), nel lontano 2012: il rischio concreto, per tutto il 2017, è stato davvero quello di non riuscire a garantire più alcun servizio e nemmeno di pagare gli stipendi ai dipendenti.
Con gli ispettori della Corte dei conti che entravano e uscivano da Palazzo San Giacomo e De Magistris che ripeteva che tanto era normale, perché «siamo un Comune in predissesto da anni», il tanto temuto default era più che una prospettiva minacciosa, era in procinto di diventare una dura realtà. Le accuse di gestione irresponsabile a De Magistris si moltiplicavano, perché è vero che la voragine di bilancio si era aperta già da prima del 2011, ma è ugualmente indiscutibile, si osservava, che dall’entrata in carica di De Magistris, da più di 6 anni, quindi, un intervento serio sulle politiche di spesa non era mai stato fatto. Anzi, il disastro aveva progressivamente assunto la dimensione esorbitante di 2,3 miliardi di euro, secondo la stima della Corte dei conti. Sotto la lente dell’onnipresente magistratura contabile erano pure finiti, nell’ultimo periodo, i casi degli immobili demaniali comunali irrisoriamente concessi ai movimenti politici amici del sindaco (di cui una buona parte ha poi fondato quel “Potere al Popolo” che, ironia della sorte, alla vigilia delle elezioni rischia di sottrarre voti proprio a DemA).
Insomma, la situazione, specialmente a metà dello scorso ottobre, appariva ulteriormente disperata: la Corte dei conti non si sarebbe fatta scrupoli a dichiarare l’impraticabilità del piano di rientro dal predissesto, con annessa, devastante ripercussione sul destino politico di un sindaco che annaspava nei proclami autonomisti mentre additava l’assenza colpevole dello Stato. E invece, in un giorno di fine dicembre, tutto cambiava.
Lo sprint per l’inserimento nella manovra economica del Salva – Napoli diventava realtà il 29 dicembre. Il termine per saldare i debiti con i creditori correnti del Comune si allungava, anche del doppio per certi tipi di pendenze, con tanti saluti specialmente ai fornitori non pagati da tempo immemorabile. Si trattava di una mossa politica del Governo Gentiloni? Il PD, non da oggi, ha necessità di proporsi come salvatore di Napoli, dove deve recuperare in vista delle Politiche. Meglio aiutare De Magistris, che vedere affondare la terza città d’Italia tra i proclami dell’Amministrazione su “Roma aguzzina“, peraltro già in trend negativo da un po’ – leggi sempre questione Bagnoli. Che poi nel calderone degli aiutini ci sia finita, tra le grandi città, anche Torino, guarda caso con amministrazione 5 Stelle, poco male.
Fatto sta che il decreto che consente di far sopravvivere i comuni in deficit passerà alla storia come Salva-Napoli, e non è esattamente un onore: eppure così, improvvisamente, torna almeno un po’ di margine di manovra per il futuro. Se la Corte dei conti annuncia di voler proseguire il monitoraggio su Napoli, in questo inizio del 2018, con il più classico dei “stavolta te la sei cavata, ma ti tengo d’occhio”, De Magistris comunque rivela che «presto» si procederà ad assunzioni da parte del Comune, per almeno 300 posti, bloccati sin dal “Concorsone” del 2010. Inoltre, la stessa Corte pochi giorni fa ha accolto parzialmente il ricorso (la questione sarà definitivamente decisa il 7 marzo) del Comune contro la bocciatura della rimodulazione del piano di rientro dal deficit, consentendo al sindaco di parlare di Amministrazione «forte». I 2 miliardi e più di passivo rimangono, ma ci penserà la Giunta di domani: è il Governo centrale che lo vuole. Almeno, appunto, finché Cr8 non rompe le uova nel paniere a tutti, pignorando l’ormai famosa liquidità residua nelle casse del Comune.
In futuro, dunque, bisognerà evitare mosse azzardate, come quella, storicamente accertata dalla Corte dei conti, di mettere all’attivo dei crediti non sicuramente esigibili per pagare debiti che invece sono esigibili dai creditori a scadenza certa e fissa. Insomma, come insinua l’ex assessore Realfonzo, bisognerà evitare di gonfiare i bilanci. Oppure, si dovrà fare a meno di svendere immobili comunali a soggetti terzi, così magari Palazzo San Giacomo potrà reperire le risorse per pagare i suoi affitti. O per finire i lavori a via Marina. O per completare le metropolitane in tempo, così da non dover restituire i milioni anticipati dall’Unione Europea, specialmente per la fermata della Linea 1 di Piazza Nicola Amore che o si termina entro il 2018 o salta, insieme alla cupola in vetro di Fuksas.
Oppure, bisognerà evitare di alienare immobili a partecipate sull’orlo del fallimento. Un nome a caso: ANM. Sempre lo scorso autunno, la Corte dei conti bocciò l’alienazione alla società comunale di trasporti di immobili da parte di un comune in predissesto che, con quei beni, avrebbe potuto farci liquidità, in linea di principio e seppure nel lungo termine. Quegli immobili per giunta a poco potevano servire ad una partecipata il cui problema era la liquidità corrente e non il patrimonio. Soluzione illegittima per fini inutili, insomma. Ma questa è un’altra storia, la storia di dipendenti perennemente a rischio di un’azienda comunale che perde 25 milioni all’anno, ormai in concordato fallimentare preventivo e un accordo coi sindacati perennemente da salvare e riformulare. Almeno, con la forma societaria della partecipata, il fallimento di ANM non grava direttamente sulle casse comunali, consentendo alla Giunta di trattare i trasporti, chi li gestisce e chi ci lavora come fastidiosi e inopportuni sconosciuti. Sono storie di ordinario default. Politico e finanziario.
Ludovico Maremonti