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Libia: Sarraj chiede aiuti militari

Libia: il terrore sembra finito e su questo paese è sceso il solito assordante silenzio. Fino a pochi giorni fa gli occhi dell’Italia e quelli del mondo osservavano con apprensione la situazione che si realizzava a pochi chilometri dall’Europa, nel suo cortile, in uno Stato dove le gloriose truppe italiane marciavano certe di fondare un impero. Adesso nulla, vige una strana convenzione per la quale, istituito un governo legittimo, regolata la forma, il problema si risolva da sé. Oltre le forme, la sostanza invece è ancora adesso preoccupante.

Le truppe italiane sul suolo libico non sono sbarcate. Si è meditato di inviarle – lo dimostrano le dichiarazioni dell’ambasciatore USA in Italia, che l’aveva ammessa esplicitamente –, poi vi è stata una forte smentita: l’invasione non è una pratica che l’Italia intenda adottare, sia per i rischi connessi di attentati terroristici sia per la nota incapacità dei nostri militari di incutere timore – in Afghanistan le nostre caserme erano circondate da piantagioni di oppio per finanziare i talebani –, non per mancanza di coraggio, ma per mancanza di organizzazione.

Adesso però è il governo libico, quello ritenuto legittimo dalla comunità internazionale, s’intende, a chiedere aiuti militari, con una dichiarazione del premier Sarraj:

«Non chiediamo un intervento straniero in Libia, ma assistenza con addestramento e la rimozione delle sanzioni sulle forniture milita delle armi al nostro governo: la comunità internazionale ha responsabilità verso la Libia, e quando si tratta di sconfiggere lo Stato islamico ricordo ai nostri amici che questo sarà raggiunto dagli sforzi libici e senza intervento militare straniero»

Niente truppe, nessun soldato straniero: ne va dell’onore patrio. Ma armi, rifornimenti, quelli sono i benvenuti. L’ISIS non avanza ma neanche arretra, continua a dominare zone rilevanti, mentre altri gruppi cercano di conquistare il loro posto al sole. Così Sarraj mostra le sue debolezze, le sue incapacità, la sua resa. Paga il tributo agli stati esteri per non essere stato in grado di essere forte all’interno: il suo nome è stato avvertito quale imposto, approvato da un parlamento che rappresenta solo una parte della popolazione libica, a seguito di accordi intercorsi tra gruppi armati. Si dialoga, ma ancora nulla di certo è uscito. Probabile che molti Stati si muoveranno di nascosto: la Libia vale molto, è stata destabilizzata per erodere il dominio economico italiano ed ora la sia vuole stabilizzare per costruire il nuovo.

Resta il mistero di Haftar, il generale che non vuole deporre le armi e chiede un riconoscimento nel nuovo governo libico, sino ad ora negato. La sua è una situazione diversa da quella di altri. Haftar si è opposto al governo di Gheddafi dal 2011, ed ha buoni contatti nell’ambito internazionale, USA inclusi. Le sue armi sono necessarie per la guerra al terrorismo, ma il prezzo è caro. Haftar non vuole stare a guardare: vuole anche lui il suo posto al sole, un ministero, o il comando delle truppe. Si racconta che anche la nostra diplomazia cerchi di ottenere i suoi buoni servigi (la Repubblica del 24 Maggio 2016), nonostante Gentiloni avesse mostrato apertamente di osteggiare il generale in una dichiarazione del 16 Maggio 2016, quando aveva affermato:

«La soluzione di riconciliazione non può essere messa nelle mani di Haftar»

Ma nelle sue mani le armi invece possono stare. L’Italia starebbe giocando a favore del governo legittimo e nel contempo si preparerebbe a soccorrere gli altri, purché siano dalla parte giusta. E la parte giusta è quella che non guasti i nostri interessi economici. D’altronde Haftar avanza per garantirsi il controllo della mezzaluna petrolifera, una zona verso cui non si può non guardare con la calcolatrice in mano. Le guerre iniziate per denaro si concluderanno non per mezzo del ma al fine del denaro.

Nessun intervento di terra, ma le armi arriveranno. Anche questo è un grande affare per gli interessi italiani. il nostro paese è tra il maggiore produttore di mezzi bellici, e li vende all’Egitto come è pronto a venderli alla Libia. Lo farà, la diplomazia serve anche a questo.

In Libia arriveranno anche quaranta addestratori, per trasformare un esercito popolare in un esercito di professionisti,come ha dichiarato Gentiloni:

«Siamo pronti ad addestrare ed equipaggiare le forze militari libiche come ci chiede il governo Sarraj»

e come avrebbe dichiarato una fonte governativa a la Repubblica del 25 Maggio. Lo avevamo già fatto per l’Iraq. Il risultato? Fuga. Prima ancora dell’addestramento serve l’organizzazione. I generali libici sono addestrati? Sanno comandare? La soluzione del caos calmo è nelle loro mani, perché senza un intervento militare esterno saranno loro a decidere le tattiche. Speriamo lo siano.

Vincenzo Laudani

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