In molti dicono che il principio di rappresentanza politica oggi è in crisi, ostaggio delle nuove forme di antipolitica che, soprattutto a Occidente, si ammantano del vasto e controverso stendardo del populismo.
In realtà, le cose potrebbero non stare proprio così. La rappresentanza, complice anche una “domanda politica” estremamente semplificata e particolarmente indifferente alle antiche lotte di classe, di ideologia o anche di semplice posizione, probabilmente ha reinterpretato se stessa, al più demolendo o corrompendo le antiche dinamiche di rapporto tra rappresentante e rappresentato (storicamente incanalate nelle grandi e iperorganizzate strutture di partito).
Oggi, probabilmente perché la situazione sociale si è deteriorata al punto da consentirlo, chiunque appare in grado di rappresentare interessi socialmente trasversali, come il diritto al lavoro, ad un’equa distribuzione delle risorse, alla salute, ad una dignitosa vecchiaia: i canali espressivi della rappresentanza politica si sono quindi moltiplicati, abbracciando i social network ed altre reti “deistituzionalizzate”, “dal basso”, come va di moda dire. Eppure, questa operazione non sembra (ancora) in grado di sovvertire le regole fondamentali di esercizio della rappresentanza: ergo, se vuoi rappresentare, ti devi candidare (ed entrare in Parlamento). La recentissima storia di movimenti politici come quello dell’Ex OPG Je so’ Pazzo di Napoli racconta proprio questa evoluzione, nella continuità, ed, anzi, forse nell’esaltazione in salsa “millennial” del principio di rappresentanza politica.
Circa due settimane fa comincia a circolare in rete un breve filmato, realizzato artigianalmente, che inquadra un gruppo di una trentina di ragazzi giovani e meno giovani riuniti dietro a due frontgirls (e questa è già una notizia): queste, con precisione chirurgica, si divideranno i tempi di parola. «Ciao a tutti», esordisce la prima delle speaker, con una semplicità disarmante e rassicurante, senz’altro non studiata da alcun esperto della comunicazione. Necessaria presentazione: «Noi siamo qua all’Ex OPG e abbiamo appena finito di fare assemblea», come dire, vi parliamo da casa. Per chi non li conoscesse, la nostra chiarisce che all’Ex OPG i ragazzi si occupano da circa due anni «di attività politica, sociale e culturale in questa città [Napoli, ndr]». «Siamo esattamente come voi che ci state guardando»: è la prima affermazione davvero politica, punta all’identificazione con l’ascoltatore, probabilmente under 30; viene quindi seguita dall’elenco di quelle «esigenze» che, dal lavoro all’istruzione alla salute, oggi «non trovano nessuno che le rappresenti». Il livello di empatia aumenta: come non riconoscersi in una simile rivendicazione?
Un po’ più avanti nel filmato, ecco però la svolta: «Stasera ci siamo trovati a discutere di questo e abbiamo improvvisamente realizzato – la ragazza accenna una risata un po’ nervosa, come imbarazzata da quello che sta per dire, il che aumenta la percezione di verità ed estrema semplicità e comprensibilità della dichiarazione che è sul punto di fare – che a marzo dell’anno prossimo si andrà a votare e alle elezioni nessuno, nessuna forza politica si farà carico delle esigenze della stragrande maggioranza della popolazione di questo Paese». Che poi, sono le stesse esigenze del territorio, «di questo nostro Sud Italia», che qualche secondo prima era stato indicato come centro di gravità dei problemi più impellenti.
O ci si deprime, prosegue la frontgirl dell’Ex OPG, o si prende un’altra strada, si fa «una follia»: «se nessuno ci rappresenta, e se noi siamo la maggioranza di questo Paese, perché non provare a rappresentarci da soli?».
Da “amichevole collettivo di quartiere”, l’Ex OPG dichiara, insomma, di voler compiere il grande salto verso la politica nazionale, presumibilmente verso la Camera dei Deputati (per il Senato sussistono evidenti limiti di età), lanciando il concetto dell’autorappresentanza come risposta apparentemente spontanea e non organizzata allo stato di prostrazione del panorama politico. Quell’«abbiamo improvvisamente realizzato» non faccia però pensare a qualcosa di raffazzonato: l’Ex OPG le basi di questo nuovo percorso le aveva poste prima e le ha continuate a sviluppare nei giorni successivi, quando l’iniziativa ha cominciato a far rumore e quotidiani nazionali si sono interessati ai «ragazzi», come li definisce il Corriere del Mezzogiorno.
Per capire dove nasce la nuova ambizione politica di un collettivo che è partito con le occupazioni di un immobile del demanio statale, l’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Napoli, poi acquisito al comunale, di cui è diventato infine legittimo affidatario in base ad una delibera dell’Amministrazione che è tuttora sotto la lente di ingrandimento della Corte dei Conti (a quello che sta diventando il “problema De Magistris”, per gli attivisti, ci arriveremo), bisogna osservare due diramazioni del fenomeno Ex OPG: quella sui territori e quella prettamente politica.
Sotto il primo profilo, basta dare uno sguardo alla pagina Facebook del collettivo, per capire come la rete di contatti e di eventi organizzata per mobilitare quella che dovrebbe costituire la “base” elettorale del nuovo movimento politico (non hanno ancora una struttura partitica vera e propria) sia davvero imponente ed abbraccia prevalentemente il Sud, specialmente la Puglia, ma anche qualche realtà del centro e nord Italia, come la Livorno in mano alla discussa giunta del Movimento Cinque Stelle, Firenze e Padova. Si tratta di eventi tutti collocati nello spazio di venti giorni al massimo. La mobilitazione per la costruzione della «Lista popolare», come viene definita dall’Ex OPG, interessa le organizzazioni sui territori che, in proprio o seguendo l’esempio napoletano, si sono federate in vista dell’appuntamento comune, «improvvisamente realizzato». La lista non può che essere popolare, perché lo slogan del movimento è, appunto, «potere al popolo» (con tanto di stella rossa).
La rivendicazione dell’appartenza politica, «alternativa», ça va sans dire, di sinistra, esaltata nell'”autorappresentanza” annunciata nel video, viene caratterizzata abbracciando quel concetto di popolo che, oggi, serve tanto alla sinistra, quanto alla destra e ai cinquestelle. La nuova rappresentanza spontanea, dal basso, non si rivolge più ai cittadini, soggetti ormai svuotati dei propri diritti civili, sociali e politici, ma alla massa del “popolo”, compatta dietro rivendicazioni che sono talmente semplici ed immediate da risultare incomprensibili per la politica tradizionale. Il popolo si autorappresenta in una lista popolare, senza giochi di potere (anche se poi bisognerà conciliare questo “popolo” coi meccanismi della nuova legge elettorale) e mette in soffitta vecchie strutture e sovrastrutture, ormai inutili e divisive.
Il progetto politico “popolare” viene reso noto sabato 18 novembre al Teatro Italia di Roma, alla presenza di centinaia di rappresentanti di quei soggetti politici più o meno informali che rivendicano la scelta di rappresentare un’alternativa, appunto, innanzitutto al PD, ma anche a quella sinistra che, da MDP in poi, li ha scaricati in nome dell’architettura di partito (o presunto tale), come i più trascurabili dei guaglioncelli. Invece, la forza e le potenzialità della nuova idea esistono e non lo testimoniano solo i numeri dei presenti al Teatro: piuttosto, lo caratterizza, lo si ripete, l’interesse dei media, dall’endorsement del Manifesto, agli altri portali (del Corriere si è detto), anche indipendenti, che hanno cercato di inquadrare una sorta di manifesto programmatico a guida Ex OPG, peraltro resuscitando antichi concetti come “lotta di classe” e “imperialismo” che caratterizzano appieno lo stesso frasario dei nuovi, giovani leader.
Ecco, quello che ancora manca è un leader, una figura di riferimento che, strutturalmente, possa rappresentare la nuova iniziativa. Non può sfuggire che, a dare un orientamento in questo senso, ci provano o almeno ci proveranno alcuni più convenzionali operatori della politica, come i dirigenti di Rifondazione Comunista che hanno elogiato «la capacità di far esprimere esperienze di lotta, pratiche solidali, volontà di partecipazione, nuovo entusiasmo»; anche se, va detto, l’Ex OPG ha già dichiarato di essere allergico ai «dirigenti senza territori», per cui la strada è lunga. Certo – si può malignare – dici Ex OPG e pensi subito a De Magistris, il sindaco accusato di farsi clientela politica proprio tra movimenti, collettivi e centri sociali, cui ha concesso gratis i famosi beni demaniali (coi sospetti di danno erariale), dei quali usa ormai da tempo lo stesso vocabolario e cui rischia, a conti fatti, di sovrapporre pericolosamente il suo DemA alle prossime elezioni.
Che sia dunque De Magistris “mandante” dell’operazione Ex OPG? Chiara Capretti, la frontgirl dell’ormai celebre video, intervistata dal Corriere denuncia che «qualcuno sta già mettendo in giro questa voce. Non mi meraviglia (…) Noi andiamo avanti ed approfitteremo degli spazi della campagna elettorale per dare voce ai precari, agli sfruttati, ai migranti ed a tutti gli esclusi». Nessun legame col sindaco, quindi, almeno per ora: come struttura organizzativa ci si tiene gli eventi Facebook sul “territorio”, con tanti saluti all’intuito manageriale del fratello Claudio, su cui invece può ben contare il Primo Cittadino.
Non andrà dimenticato, ad ogni modo, che uno dei principi base della rappresentanza è la competizione, o meglio la concorrenza. Come sottolineato da più parti, il rischio più alto è quello di non prendere abbastanza voti per difetto di mezzi, pubblicità e popolarità, a vantaggio di altre forze politiche, peraltro da considerarsi avversarie a sinistra. La lunga assemblea programmatica, già tutta online su Facebook (il dogma della trasparenza social ha fatto ormai scuola, ma va detto che qui si tratta anche e soprattutto dell’unico mezzo di propaganda disponibile), ha affrontato proprio la materia della creazione della base di consenso.
Ludovico Maremonti