Della questione migranti si parla ormai da tempo soltanto in termini politici. Dell’impegno dell’UE, delle frontiere, di numeri e di tante altre questioni che sovente mutano in una terminologia propagandistica di intolleranza, che ormai fa paura un po’ in tutta Europa.
Ma i termini “accoglienza” e “migranti” significano principalmente che stiamo parlando di persone anche se l’intera società pare essersene dimenticata.
E queste persone, che siano i cosiddetti migranti economici, rifugiati, richiedenti asilo e quant’altro, hanno delle necessità estremamente diverse dalle nostre, legate al lungo e tragico viaggio che li ha portati qui.
In primis non può che figurare l’approccio sanitario che la macchina dell’accoglienza (senza ombra di dubbio la migliore, quella italiana) deve rivolgere verso persone affette da patologie non esistenti nel nostro paese, ferite non curate, segni di tortura, donne giovanissime incinte, bambini molto piccoli, debilitazione e soprattutto uno stato psicologico precario, plasmato dai tanti momenti orribili che i migranti hanno vissuto durante la loro odissea.
Nulla può essere lasciato al caso in una situazione del genere ed è proprio per questo motivo che a l’OIS (Osservatorio Internazionale per la Salute) ha messo a punto il corso “Salute e migrazione”, nell’ambito del progetto “Sanità di frontiera”.
Il corso, tenutosi presso il centro Astalli a Roma fino allo scorso 22 settembre, era rivolto a medici e personale sanitario coinvolti nell’emergenza migranti ed ha riscosso un successo tale da costringere gli organizzatori ad aumentare i posti disponibili, segno evidente della “prima linea” che il nostro paese rappresenta.
Erano presenti docenti di fama internazionale e rappresentati delle realtà internazionali da anni impegnate sul campo, tra i quali MSF, Croce Rossa, Save the Children ed altri attori importanti nell’ambito dell’accoglienza ai migranti.
Lo scopo del corso, come accennato, era quello di formare personale specializzato ad affrontare le dinamiche sanitarie di accoglienza ma anche, guardando un po’ più in la, di sparigliare il campo da un’ondata di disinformazione che finisce sempre più spesso per affibbiare ai migranti la responsabilità del “ritorno” di alcune patologie, non ultima la questione malaria.
Fortunatamente questa volta, e molto paradossalmente, l’opinione pubblica non ha dato granchè risalto a questo evento, nonostante l’importanza estrema che lo riguarda perchè, ahimè, oggi tutto ciò che riguarda i migranti viene abilmente buttato nella fossa dei leoni e rigirato nella maniera ormai retorica del “dare a qualcun altro togliendo agli italiani”, senza capire, ormai è una causa persa, che lavorare con professionalità, competenza e risorse regala una speranza a “loro” e rende migliori tutti “noi”.
Mauro Presciutti