A Roma, dalle parti di via Portuense, corre il cosiddetto “serpentone”: il Corviale, un edificio unico in cui trovano posto più di mille appartamenti. Corridoi e porte tutte uguali, l’una di fianco all’altra, che nei loro circa quarant’anni di vita sono stati oggetto di un dibattito più o meno sentito sulla spersonalizzazione.
Un essere umano è più di uno scheletro da far stendere su un letto, e più di una pancia da riempire. E ha perciò bisogno di qualcos’altro, oltre allo spazio strettamente funzionale alla sopravvivenza.
In “Scusate se esisto!” l’architetto Serena Bruno (Paola Cortellesi), donna di successo all’estero, prova a rimediare dedicandosi anima e corpo a un progetto che sia “per la gente” innanzitutto, che tenga conto delle esigenze meno strettamente materiali di tutti. Lo urla a fine film: le persone sono importanti!
Ed è un messaggio banale, stereotipato, probabilmente molto natalizio, commercialmente parlando. Ciò non toglie che sia sostanzialmente vero e fondamentale: uno dei beni primari dell’essere umano, oltre al cibo e al sonno, è la valorizzazione della persona in quanto tale espressa magari con una socialità disinteressata.
Questo pensiero viene declinato nella trama principale e nelle innumerevoli secondarie, intrecciate tutto sommato con una certa agilità. Ma è un pensiero che, purtroppo, così facendo, si disperde e si riduce alla moralina dimenticabile di una commedia davvero troppo educata.
Infatti, pur essendo il filone principale quello della donna sottovalutata in ambito lavorativo, e quindi teoricamente destinato a infuocare un animo femminista, non nasce una sola traccia di indignazione; è così anche per quel che riguarda il timore di un omosessuale (Raoul Bova) di fare coming out con il figlio; e così è per ogni micro-vicenda dei dipendenti che mentono pur di mantenere il posto di lavoro.
Che non vengano disprezzate le buone intenzioni! Quelle ci sono. La Cortellesi ha l’aria di essere una donna molto intelligente, e probabilmente conosce bene ciò che ha sceneggiato e dov’è che non ha osato: nel complesso è un film dall’anonima regia (Riccardo Milani), che tratta di un argomento vastissimo e su cui non fa che poggiarsi in superficie senza approfondire, che strappa il sorriso e non disturba nessuno.
Insomma, ci si è andati con i piedi di piombo: si ha sussurrato timidamente qualcosa che chi ha orecchie per intendere intenderà, senza alzarsi in piedi sul banco a urlarlo rischiando di farsi sentire da tutti. Questo dispiace perché le potenzialità sono visibilissime sotto la pelle da “film per tutti” che le tiene a freno. Una pellicola infondo da non scartare, purché sia un punto di partenza e non di arrivo.
Chiara Orefice