In principio erano “i comunisti”. Poi “i capelloni”, ugualmente pericolosi, poi i bulgari, i rumeni, i marocchini, ed ora i rom.
Non c’è comunità senza un out-group da combattere, il nemico comune rafforza i legami interni. Distinguersi dall’esterno e dunque sentirsi un po’ più uguali fra le mura amiche, sbeffeggiare, etichettare e odiare chi non è come noi. Sembra sia insito nella natura dell’uomo: i disabili giù dalla rupe, o peggio nei campi di concentramento.
Categorie ben confezionate, con le proprie icone e le proprie etichette, molto importanti perché senza un nome la categoria non esiste. Sfogliando le pagine di un qualunque giornale degli anni ’70 restereste sorpresi nel legger titoli come “Capellone aggredisce e deruba anziana”, forse vi strapperebbero anche un sorriso.
Ma se il giornalismo racconta storie, è normale che queste abbiano dei personaggi, come il rom, che non necessita di altre presentazioni. Si porta appresso già da solo quel suo olezzo di rogo tossico, il passeggino con l’immondizia, il dente d’oro e i capelli unti; guardate com’è facile metter su un bello stereotipo di rom in neanche dieci secondi. La fisarmonica la aggiungiamo?
Facciamo così perché è più facile, il giornalista può agganciarsi a un filone e noi lettori comprendiamo immediatamente. Non fosse stato rom sarebbe stato “padre”, “madre”, “benzinaio”, una qualsiasi etichetta che ci faciliti la comprensione; funzioniamo così, anche il più creativo degli uomini pensa schematicamente.
Lo sanno gli esperti di marketing, i creativi pubblicitari, e lo sanno i politici.
Lo sa Matteo Salvini ad esempio, che in occasione dell’ultima notizia di cronaca nera (un rom che investe nove persone uccidendone una) ha dichiarato: “Ruspa! Quando torneremo al governo, raderemo al suolo uno per uno tutti ‘sti maledetti campi Rom, partendo da quelli abusivi“.
Il nemico da combattere, da qualche anno a questa parte, è il rom. E un nemico pubblico vuol dire gloria e fama per chi lo combatte, riconoscenza per chi lo sconfigge.
Spersonalizzare. È più facile uccidere un pesce che un essere umano: lasciamo da parte per un attimo l’uomo, e prendiamocela col rom. Insultiamolo e sbeffeggiamolo, odiamolo. E come ogni narrazione ci ha abituati, aspettiamo il gran finale, il più risolutivo possibile.
Valerio Santori