Ieri sera è andato in scena l’epilogo della tornata elettorale 2017 della città di Maddaloni, protagonisti della piéce teatrale i 13 consiglieri comunali che hanno abbandonato l’aula per poi presentare le proprie dimissioni, il conseguente scioglimento del consiglio comunale e l’inevitabile quanto prevedibile cessazione dalla carica di sindaco per Andrea de Filippo.
Per poter meglio comprendere l’ennesima vicenda che ha condotto nuovamente il Comune di Maddaloni verso il commissariamento, bisogna partire da ciò che si è verificato durante il primo consiglio comunale del neo eletto de Filippo, passare attraverso quanto previsto dal Testo Unico degli Enti Locali ed, infine, applicare il tutto al caso concreto.
Nel mese di giugno, al primo turno di elezioni, il centro sinistra si guadagna il 54% con le liste, i due candidati a sindaco Andrea de Filippo e Giuseppe Razzano non riescono, però, a superare il 50% dei voti. Il successivo ballottaggio vede la vittoria di de Filippo sul candidato di centro sinistra. Il neo eletto sindaco di Maddaloni contesta immediatamente che la maggioranza consiliare sia stata assegnata al centro sinistra, attraverso un esposto alla Commissione che, al contrario, si esprime confermando quanto scaturito dalle elezioni.
Più che di una vittoria di De Filippo, si parla, infatti, di una sconfitta di Razzano che, al contrario del suo avversario, aveva ottenuto la maggioranza in consiglio comunale. In seguito all’esito negativo della pronuncia da parte della Commissione, alcuni consiglieri non eletti di de Filippo (che, lo ricordiamo, sarebbero stati eletti nel caso in cui la Commissione si fosse pronunciata diversamente), hanno presentato ricorso al TAR.
Nella serata di ieri, il neo eletto sindaco ha indetto il primo consiglio comunale, senza presentare la propria giunta e tenendo un discorso di apertura incentrato sulla collaborazione “squisitamente politica” che doveva instaurarsi tra gli eletti e i non eletti, tra gli esponenti della maggioranza e gli altri consiglieri, un gesto nobile, direbbero alcuni. Non tutti, però, si sono lasciati ‘ingannare’ dalla faccia da poker di de Filippo, i 13 consiglieri del centro sinistra, infatti, avendo appreso del ricorso presentato al TAR, hanno visto il bluff del sindaco ed hanno giocato al rilancio, abbandonando l’aula per recarsi dal notaio Cipolletti e sottoscrivere le dimissioni di quella ‘maggioranza + 1’ richiesta dalla legge per decretare lo scioglimento del consiglio comunale.
Analizzando la normativa, in particolare quanto previsto dall’art 40 TUEL, “La prima seduta del consiglio comunale e provinciale deve essere convocata entro il termine perentorio di dieci giorni dalla proclamazione e deve tenersi entro il termine di dieci giorni dalla convocazione”. Venti giorni, dunque, il termine massimo entro il quale è concesso al nuovo sindaco di convocare il consiglio comunale, definito ‘perentorio’ in quanto, se non rispettato, comporta necessariamente la decadenza dalla carica ed il conseguente commissariamento del comune.
Anche se i consiglieri della coalizione di centro sinistra non avessero abbandonato l’aula, de Filippo, avendo convocato il consiglio comunale senza presentare la giunta e senza istituire la commissione elettorale (altro adempimento ‘obbligatorio’ previsto dalla normativa), sarebbe comunque andato incontro alla stessa sorte: sarebbe intervenuta, infatti, la Prefettura di Caserta che avrebbe nominato il Commissario prefettizio.
Un piccolo manipolo di persone è intervenuto durante la seduta consiliare, gridando ripetutamente “Vergogna!” quasi fosse un mantra per espiare dai peccati i consiglieri dimissionari che, contrariamente a quanto si crede, non hanno fatto altro che giocare d’anticipo, smascherando il bluff di de Filippo che non aveva altra intenzione se non quella di guadagnare tempo fino a quando il TAR non si sarebbe pronunciato, probabilmente, data la normativa in merito alla maggioranza elettorale, di nuovo in senso negativo.
Ricordiamo che il Commissario prefettizio, a differenza di quanto sostenuto dallo stesso de Filippo e dai suoi ‘seguaci da tastiera’ non è altro che un organo monocratico di amministrazione che accorpa in sé funzioni decisionali che spetterebbero normalmente al sindaco stesso ed alla giunta comunale. Un organo, per definizione stessa di legge, completamente scevro da qualsivoglia orientamento politico, nominato appositamente per il bene della città.
Riflettendo meglio su tutta la vicenda e alla luce soprattutto dei tentativi doppiogiochisti sventati dai consiglieri dimissionari, il commissario prefettizio rappresenta l’unico barlume di speranza che la città di Maddaloni può attualmente permettersi di avere, salvo eleggere alle prossime elezioni una maggioranza forte ed un sindaco che appartengano alla stessa coalizione.
Sara Cerreto