Il giorno più lungo di Giorgio Napolitano alla fine è giunto. Dopo rinvii, tentennamenti, attacchi al veleno tra magistratura e politica, oggi il Presidente della Repubblica verrà ascoltato in qualità di teste per il processo della trattativa Stato-mafia. A tutti gli effetti è una data storica per questa Repubblica, che mai prima di oggi ha visto la più alta carica dello Stato essere soggetta, seppur come testimone, ad un processo penale, contaminandola come i più ben noti giri della politica e che mai prima di oggi ha visto così alta la tensione tra gli organi politici e giudiziari.

Unico caso, seppur limitato nella forma presa e soprattutto per il peso politico, che si voglia e possa considerare come un precedente fu Cossiga, nel 1993, accusato da Riccardo Malpica, ex direttore dei servizi segreti del Sisde, di essersi appropriato illecitamente dei fondi riservati ai servizi segreti civili quando era Ministro degli Interni (1983-’87); accusa che finì per essere rinfacciata e snaturata in diretta tv, in una uscita non programmata, dello stesso Cossiga.

Ma quelli erano altri tempi e si potrebbe dire, altri problemi; perché qui ne va della credibilità istituzionale della carica più prestigiosa e soprattutto della solidità costituzionale di questa Repubblica, che sulle sue istituzioni si è vista piombare addosso dalla magistratura l’accusa più infamante che possa esserci per un ordine democratico. A fronte di tutto ciò si spiega la calma di questi giorni, calma quasi surreale avvampata da un silenzio tagliente sui fatti sia dalla politica sia dai giornali; da parte del Quirinale ciò è funzionale ad una volontà di depotenziamento del caso, far si che esca nel più breve tempo possibile dai tabloid esteri e nazionali, non deve dunque stupire il rigetto del Quirinale ad  una possibile proposta di conferenza in streaming o addirittura in diretta tv, fatta da esponenti del Corriere della Sera. Assopire, moderare i toni, distensione, tutto, per impedire che il caso diventi la miccia alla delegittimazione non solo della carica in sé, presieduta da Napolitano, ma per effetto domino, anche dell’attuale governo Renzi dei senatori a vita e dei giudici costituzionali nominati tutti dallo stesso testimone illustre.

Freddo e circospezione attenderanno oggi, alle 10 giudici e rappresentanti delle parti al Quirinale, dove, in forza dell’articolo 205 del codice di procedura penale, il Presidente della Repubblica in carica può essere ascoltato. A far si che la testimonianza non diventi un processo ci sarà la presenza del presidente della Corte di Assise, Alfredo Montalto, che stabilirà i limiti oltre i quali le domande poste non saranno lecite.

In queste ore di attesa solo una voce si leva dal coro ed è quella di Emanuele Macaluso, amico e consigliere di Napolitano, che non usa mezzi termini per attaccare la solita parte di magistratura sporca e collusa con il potere politico e personali di alcuni:
“c’è un pezzo di magistratura che fa politica, aprendo processi in rapporto a battaglie politiche che vogliono fare. Come Ingroia, che ha aperto il processo sulla cosiddetta trattativa e poi fa un partito e si presenta alle elezioni.”

Dario Salvatore

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