C’è poco da fare, la questione della sperimentazione animale è stata e continuerà ad essere una delle cose più dibattute di sempre. Etica e necessità in perenne conflitto, fino a quando l’elettronica irrompe sulla scena promettendo di risolvere il dibattito una volta per tutte a partire da un cuore elettronico.
L’argomento ovviamente è un tantino più complesso e parte da lontano, arrivando al cuore digitale progettato dai ricercatori di Harvard.
C’è sempre stata la necessità di applicare la tecnologia alla sperimentazione, soprattutto in funzione dell’enorme velocità alla quale informatica ed elettronica progrediscono ogni giorno.
Da anni infatti la scienza lavora allo sviluppo ed al miglioramento dei cosiddetti “sistemi microfisiologici”. Apparati in grado di riprodurre in tutto e per tutto le funzioni dei vari tessuti, anche quelli più complessi, di registrare dati e di mostrare gli effetti di qualunque input esterno, farmaci compresi.
Fino ad oggi però, fino allo sviluppo del cuore ribattezzato “heart on chip”, la situazione era abbastanza complessa e i modelli digitali sviluppati richiedevano notevoli sforzi per il loro funzionamento, dal punto di vista tecnologico ed economico.
Oggi invece il team di ricercatori guidato da Johan Ulrik Lind, è riuscito ad ovviare a tale serie di inconvenienti grazie ai nuovi materiali per la stampa 3D ormai presenti sul mercato. Essi permettono di sviluppare modelli complessi e “fedeli” all’originale, integrando circuiti in grado di ricevere ed elaborare ogni tipo di informazione.
Così “stampare” un cuore e dotarlo di microchip è stato possibile, così come testarne il funzionamento e, soprattutto, l’applicabilità su larga scala.
Ma cosa ci permetterà di fare questo nuovo cuore in formato digitale?
Sarà sostanzialmente una macchina estremamente reale, in grado di comprendere, e far comprendere, cosa accade ai nostri tessuti quando vengono esposti a molteplici sostanze, che siano farmaci, inquinanti o quant’altro.
Permetterà, il nostro cuore 2.0, di anticipare evidenze che richiederebbero anni di sperimentazione ed osservazione, nonché l’utilizzo, per forza di cose, del modello animale.
Ora, al netto delle teorie complottistiche che ci vorrebbero con microchip impiantati sotto pelle per controllarci ed impartirci ordini, è chiaro che l’utilizzo immediato di un dispositivo come questo è ancora lontano. Cuore o altro organo che sia, è una regola che vale per ogni nuova scoperta, anche la più sensazionale.
Quello che è certo è che lo sviluppo del cuore su chip rappresenta un’inversione di tendenza eccezionale, che promette, in un futuro speriamo più vicino possibile, di superare metodiche che forse non sono più sostenibili.
Si perché, tenendo i piedi per terra e continuando a riconoscere le ovvie necessità scientifiche e sperimentali, quando supereremo il modello animale, non utilizzando più cavie, saremo in qualche modo migliori.
Mauro Presciutti