Ad oggi, un cittadino cinese tipo non può accedere a Facebook. Almeno legalmente. Sul web ci sono infatti innumerevoli guide che spiegano come cambiare la propria VPN per poter oltrepassare le barriere della censura.

La Cina ha da sempre un particolare occhio di riguardo nei confronti del web e delle sue realtà più popolari, costrette ad adeguarsi alle norme governative in merito alla diffusione di contenuti online: Facebook, Twitter e YouTube sono inutilizzabili; Google, nel 2010, dopo aver subito attacchi di hacking sempre più frequenti, ha deciso di dirottare il proprio motore di ricerca e i suoi fruitori sulla versione di Hong Kong.

Un differente approccio è quello adottato da Linkedin, il social network legato al mondo del lavoro, che ha accettato di sottomettersi ai blocchi censori governativi per rimanere attivo sul suolo cinese. Dalle ultime notizie fatte trapelare dal New York Times, sembra che Mark Zuckerberg e il suo Facebook stiano andando in questa direzione, con la creazione di uno specifico tool per censurare alcuni contenuti.

L’accurata inchiesta del quotidiano americano passa dalle parole di alcuni anonimi impiegati ed ex-impiegati dello stesso social network, che annunciano la messa in atto di questo sistema censorio, ancora in fase sperimentale. Un indubbio dato di fatto è il graduale avvicinamento di Facebook alla realtà cinese, testimoniato dai numerosi incontri di Zuckerberg con i leader governativi, tra i quali spicca la figura del presidente Xi Jinping.

In Pakistan, Russia e Turchia, Facebook già prevede e mette in atto politiche censorie, concordate con i rispettivi governi per impedire la visibilità di determinati contenuti.

Ciò che propone per ciò che concerne la realtà cinese è tuttavia una soluzione differente e di ben altra portata. Nel momento in cui il nuovo tool sviluppato dovesse a tutti gli effetti divenire attivo, Facebook ne affiderebbe la gestione ad un’azienda cinese, ancora da definirsi.

Sarebbe poi compito di questa ulteriore compagnia la scelta arbitraria di quali contenuti rendere visibili o censurare.

Quella che sembra un’operazione destinata ad andare in porto ha ovviamente suscitato innumerevoli dubbi e polemiche, da gruppi di attivisti internet, ma soprattutto dai dipendenti dello stesso Facebook, che in questa nuova direttiva intravedono profonde contraddizioni con quello che era il mantra e il principale obiettivo del social network: «to make the world more open and connected» – rendere il mondo più aperto e interconnesso.

Non bisogna dimenticare tuttavia le forti motivazioni economiche legate a questa scelta: pur scendendo a importanti compromessi con il governo cinese, Facebook si aprirebbe una via decisamente lucrosa all’interno del mercato asiatico, con la possibilità di interagire con centinaia di milioni di nuovi utenti.

Il compromesso è evidente: rinunciare alla totale libertà di interazione con il social network, pur di garantirvi accesso e interazione.

La domanda sorge spontanea: è una decisione che garantisce un’evoluzione a Facebook, o piuttosto un’involuzione del social network? La risposta di Zuckerberg è puntuale, ma non fuga i dubbi: «It’s better for Facebook to be a part of enabling conversation, even if it’s not yet the full conversation»Per Facebook è meglio essere parte della conversazione, anche se non si tratta ancora di una conversazione completa.

È realmente così? L’apertura del governo cinese nei confronti di Facebook può essere interpretata come un grande passo avanti verso l’abolizione o l’attenuazione del sostenuto clima censorio, ma il compromesso a cui sembra intenzionato a piegarsi Zuckerberg può rappresentare un precedente da non sottovalutare. Se anche altre nazioni adottassero questa politica, cosa resterebbe di Facebook e della sua inclusività?

Andrea Massera

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