È strano come a volte alcune situazioni si ribaltino completamente. Il Milan stava toccando il fondo e necessitava di una rinascita, societaria e tecnica, che potesse finalmente consentire alla squadra di recuperare l’antico blasone perduto. E così, come un messia, è arrivato Yonghong Li, personaggio ermetico, emblematico, mai sotto la luce dei riflettori. Il ricco imprenditore cinese è stato visto come il punto di partenza di una nuova era rossonera. Il perfetto seguito ai fulgidi anni del ”Berlusconismo”, pienamente in linea con i canoni dirigenziali delle grandi società d’Europa, guidate ognuna da magnati e imprenditori con conti in banca ricchissimi.
Ovviamente l’imprenditore che si pone a capo di una società necessita inevitabilmente di un entourage dall’alta competenza tecnica e amministrativa. E così sono arrivati i due ”condor”, Fassone e Mirabelli, anche loro eredi di un modello dirigenziale, quello che ha visto la luce con l’esperienza di Adriano Galliani. Essi dovevano essere il tramite tra il presidente e il mercato, lo sbocco di Yonghong sugli affari concreti della vita calcistica, e, in verità, lo sono anche stati. Arrivato il mercato la volontà della dirigenza è stata quella di fornire a Montella, in grado già di riportare in Europa una squadra dal valore decisamente discutibile, gli strumenti giusti per potersi collocare come una delle principali contendenti per lo scudetto.
Duecento milioni sul piatto e via con una campagna acquisti faraonica e, ad onor del vero, anche piuttosto oculata. Acquisti onerosi ma comunque ragionati, che, abbinati ad una sapiente guida tecnica, davano l’impressione di poter spaventare un po’ tutti. Una spina dorsale forte, fatta di un Donnarumma convinto a restare a suon di milioni, un Bonucci strappato ai campioni d’Italia e pronto a farsi carico di una fascia pesantissima, un Biglia, vero centro tecnico della squadra, e un attaccante come André Silva, designato da Cristiano Ronaldo – non uno qualunque – come suo erede, era stata spacciata come la ricetta ideale per il successo rossonero. Stampa e società non hanno avuto problemi a tenere in conto la possibilità di vedere il Milan sul gradino più alto della classifica, o comunque tra le prime quattro.
Il progetto si poneva senz’altro come convincente e l’allenatore aveva dimostrato di avere degli ottimi fondamentali per poter ragionare in un’ottica competitiva di lungo periodo, creando le basi per un successo duraturo nel tempo. Le prime partite di Europa League, anche se contro avversari di un livello decisamente inferiore, avevano raccontato di una squadra alla lenta ma progressiva ricerca di sé, che nel giro di qualche partita avrebbe completato la fase di rodaggio. Cutrone era stata la sorpresa del pre campionato e Rodriguez l’eccezionale terzino offensivo intelligentemente strappato al Wolfsburg, ed entrambi, insieme alla vecchia guardia, di cui Suso e Bonaventura rappresentavano la parte da preservare, sarebbero andati a farcire una rosa dall’altissimo potenziale tecnico, affiancandosi ai nomi un po’ più ridondanti.
In campionato è arrivato prima il successo netto per 3-0 contro il Crotone, poi la vittoria contro il Cagliari di misura per 2-1 e subito il primo stop. Il primo campanello d’allarme ha suonato piuttosto rumorosamente contro la Lazio, alla terza giornata. Il 4-1 a Roma del 10 settembre è stato preso decisamente sotto gamba da Montella che ha avviato con quella gara la discesa verso l’esonero. Sì perché poi da lì i successi sono arrivati solo con le squadre più piccole, mentre gli scontri diretti d’alta classifica sono stati tutti falliti. La gara contro la Lazio ha peraltro instillato nella mente dell’ex aeroplanino una serie di dubbi che si sono riversati in un istantaneo cambio di modulo: dal 4-3-3, utilizzato nelle prime tre giornate di campionato e in tre delle quattro partite delle qualificazioni europee, ad un 3-5-2. Quest’ultimo è stato poi nuovamente modificato in un 3-4-2-1 (la settimana successiva alla sconfitta nel derby) che è ridiventato 3-5-2 nelle ultime due giornate.
Duttilità tattica? Non è da escludere: se non hai gli uomini adatti non puoi pensare di mettere in campo la squadra in un certo modulo. L’altra faccia della medaglia, però, è costituita da una forte incertezza di base. Le pressioni della tifoseria che si aspettava un campionato subito brillante, e di una dirigenza che voleva vedere raccolti i frutti dei faraonici investimenti estivi, hanno trascinato lentamente Montella in un vortice di paure e di incertezze. L’arroganza e l’irritante sorriso delle conferenze stampa non sono stati altro che mezzi attraverso cui camuffare la consapevolezza di star remando nella direzione sbagliata. Ora il Milan si trova, diciamolo pure, in maniera inaspettata a venti punti, nove in meno rispetto all’anno scorso nello stesso punto della stagione. Sono tanti, troppi. Sarebbero stati un’infinità anche se i rossoneri avessero iniziato la stagione senza particolari pretese. Con gli obiettivi che erano stati stabiliti alla vigilia, però, il tutto viene ancora più in risalto, e il rendimento di Bonucci, improvvisamente capitano senza conoscere nulla dell’ambiente Milan, non è altro che la cartina di tornasole di tutto il caos che la squadra prima e la società poi stanno vivendo.
Il più grande errore della società forse è stato quello di catapultarsi con eccessiva foga nella dimensione dell’innovazione, trascurando le basi solide del passato che avrebbero potuto fare da tramite per una lenta risalita verso le zone alte della classifica. Lo sfarzo dei milioni messi a disposizione sul mercato (di cui la provenienza non è ancora chiara) ha accecato tutti, distogliendoli da una più necessaria struttura progettuale. Forse è vero che per migliorare non è necessario rivoluzionare tutto, ma avere la bravura di coniugare il vecchio con il nuovo. E in tal senso, l’insediamento di Gattuso, caposaldo del Milan dell’era Berlusconi, può essere il perfetto Caronte per un Milan ancora alla ricerca di sé e con le aspirazioni da grande squadra qual era.
Fonte immagine: forzaroma.info
Vincenzo Marotta