Il Partito Democratico ha messo in campo un nome, quello di Sergio Mattarella, che può essere uno spartiacque serio, qualora non fosse semplice strategia per poi piazzare qualcun altro. Il profilo di Mattarella è quasi anonimo: colui che, attualmente, è giudice della Corte Costituzionale dal 2011, ed è conosciuto dai più per la legge elettorale divenuta famosa come “Mattarellum”, legge elettorale che fu sostituita nel 2005 dal “Porcellum” di Calderoli, ha una storia che va al di là di questo semplice atto legislativo. Una storia fatta di dolori passati, un impegno sobrio nelle Istituzioni, di un impegno familiare nella politica, sempre ad alto livello.

Sergio è il figlio di Bernardo Mattarella, più volte ministro tra gli anni Sessanta e Settanta, iscritto alla Democrazia Cristiana. È nella Democrazia Cristiana che Sergio milita, nella componente morotea, insieme al fratello Piersanti Mattarella, che da Presidente della Regione Sicilia (in un Governo che aveva, tra l’altro, l’appoggio esterno anche del PCI) finisce assassinato dalla mafia nel 1980. Lui stesso si trovò a soccorrere il fratello, oramai caduto sotto diversi colpi di pistola, nei primi momenti dopo l’attentato, che è stato il triste epilogo di un’azione forte da parte di Piersanti nei confronti della Mafia stessa. Sergio Mattarella fu poi eletto Deputato nel 1983, nella circoscrizione della Sicilia Occidentale. Per lui la Democrazia Cristiana ha poi un compito delicato: quello di andare proprio in Sicilia, su indicazione dell’allora Segretario Politico Ciriaco De Mita, a “ripulire” il Partito in loco dalle infiltrazioni mafiose e dai dubbi rapporti con la malavita organizzata, in un periodo in cui gli esponenti di spicco dell’organizzazione erano Vito Ciancimino e Salvo Lima. Decisiva fu la sua azione per “benedire” nel 1985 la giunta comunale, con a capo Leoluca Orlando, di Palermo, bisognosa di una fase di rinnovamento.

Rieletto più volte in Parlamento, con incarichi anche Ministeriali, si oppose con forza alla Legge Mammì, che praticamente regalò il dominio sulle emittenti private a Silvio Berlusconi, dimettendosi da Ministro addirittura all’approvazione della stessa, insieme agli altri Ministri della corrente a sinistra della DC.

Fondatore del Partito Popolare, relatore della famosa legge elettorale, si presenta al Congresso del Partito Popolare stesso nella mozione avversa alla candidatura di Rocco Buttiglione, del quale non condivideva la volontà di schierarsi con la Casa delle Libertà di Silvio Berlusconi. Perso il Congresso, si dimise dalla Direzione del giornale “Il Popolo”, continuando la battaglia interna, arrivando addirittura ad apostrofare l’avversario congressuale, deciso ad allearsi con Forza Italia, indicandolo come “El General golpista Roquito Buttillone”, ed opponendosi aspramente all’ingresso della forza politica del Cavaliere nel Partito Popolare Europeo.

Forte sostenitore dell’Ulivo, è stato poi fra i fondatori del Partito Democratico, tenendosi però sempre ai margini dei media e lavorando nel silenzio, e senza eccessi di alcun genere, in politica e nelle istituzioni.  L’ultima elezione in parlamento è stata nel 2006, come deputato, nell’Ulivo. Alla caduta del Governo, non si candidò più in seguito. Poi la nomina a giudice della Corte Costituzionale in quota PD, ed ora è il nome che l’Assemblea dei Deputati e delegati dei Democrats sta appoggiando per l’elezione al Quirinale.

Un profilo esperto, capace, moderato ma non per questo non battagliero, che non ha mai cercato la ribalta mediatica, e conciliatore di scuola morotea.

Insomma, molto più della semplice legge elettorale.

Pier Gaetano Fulco

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