Voto animalista

“Un paese più giusto per gli animali è un paese più giusto per tutti”. Per comprendere che tipo di rapporto intercorra fra animalismo, antispecismo e politica in Italia è sufficiente considerare questo slogan di “Anche gli animali votano”, programma unitario che le maggiori associazioni protezioniste, liberazioniste e abolizioniste hanno presentato a partiti, candidati e candidate in corsa nelle elezioni nazionali del 25 settembre 2022. Scopo del programma, che raccoglie proposte come l’abolizione della caccia, l’istituzione di un Garante dei diritti animali e l’aumento dei fondi pubblici destinati allo sviluppo della ricerca medico-farmacologica crueltyfree, era quello di spingere i futuri decisori politici su posizioni animaliste. A questo scopo ENPA, LAV, HSI, CIWF, Essere Animali, Animal Equality e altre ancora hanno sottoposto “Anche gli animali votano” all’attenzione dell’intero arco partitico, da destra a sinistra senza soluzione di continuità, chiedendo riscontro in merito all’adesione ai suoi punti programmatici. Le risposte sono confluite nel database del sito online dell’iniziativa, consultabile all’indirizzo web Anche gli Animali Votano | Elezioni Politiche 25 Settembre 2022 dove, nella sezione con i risultati per Regione, le associazioni hanno indicato quali politici e politiche non votare. Fra i condannati e le condannate dal tribunale animalista c’è per esempio chi ha aderito a manifesti venatori e chi ha avallato finanziamenti pubblici alla zootecnia durante i mandati precedenti. Sul sito mancano invece indicazioni esplicite su chi votare. Non che per l’elettore e l’elettrice fosse impossibile farsi un’idea in merito, anzi: era sufficiente uno sguardo allo schema riepilogativo delle adesioni di partiti e coalizioni per premiare Alleanza Verdi Sinistra, Italexit per l’Italia, Italia Sovrana e Popolare, Movimento 5 Stelle e Unione Popolare (qui elencate in ordine alfabetico), che hanno aderito a tutti i punti del programma. Un risultato eclatante, considerate le scarse fortune dell’animalismo nel Paese e la radicalità di alcune richieste delle associazioni, come quella sull’introduzione di “una moratoria sull’apertura di nuovi allevamenti intensivi e sull’ampliamento di quelli esistenti”, quella riguardante “la riduzione del numero degli animali allevati” e quella sulla “promozione delle scelte alimentari vegetali e della riconversione della produzione alimentare verso prodotti a base vegetale, anche attraverso incentivi diretti e strumenti fiscali a supporto delle aziende che intraprendono la riconversione delle coltivazioni destinate alla produzione di mangime in coltivazioni per alimentazione umana”. Perché allora le associazioni non si sono schierate manifestamente per i partiti e le coalizioni aderenti al programma?

Non si è trattato soltanto di sano scetticismo, ovvero della consapevolezza che la mancanza quasi universale di una coscienza animalista più che protezionista in seno alle forze politiche mal si conciliasse con la totale accettazione delle loro istanze: le associazioni non hanno indicato esplicitamente chi votare soprattutto perché sono prigioniere di una cattiva abitudine e di un errore teorico. Da una parte credono, infatti, che i diritti e la liberazione animale siano prospettive politicamente trasversali e non intendono alienarsi nessuna simpatia nell’arco politico e fra le classi sociali spendendosi per uno o più partiti in particolare; dall’altra, sono aduse a coalizzarsi fra loro per perseguire scopi specifici. E data la marcata affiliazione ideologica di alcune di esse e/o dei loro vertici, esporsi per un partito o una coalizione concorrente rispetto ai propri sarebbe stato a dir poco imbarazzante. Si consideri il caso di LEIDAA, Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente. Formalmente apolitica, l’associazione è stata fondata ed è tuttora presieduta da Michela Vittoria Brambilla, nota pupilla berlusconiana con una carriera in Forza Italia e nelle istituzioni sotto la bandiera del partito di Arcore. A riprova del fatto che l’abitudine al pastrocchio politico è radicata nella tradizione animalista, la Brambilla presiede anche l’intergruppo parlamentare per i diritti animali, nel quale convergono LeU, M5S, PD e persino Lega e FdI. Che l’intergruppo sia composto da sole donne è la ciliegina sulla torta dei cliché sull’animalismo come questione avulsa dall’organizzazione generale della produzione e dunque non afferente a visioni e progetti sociali specifici; e come faccenda per anime sensibili, “dunque” da donne. Sembra che i virili parlamentari della Repubblica italiana abbiano questioni più importanti a cui pensare. La dispersione del voto è l’altro volto del qualunquismo e della trasversalità politica animalista. Prive di indicazioni chiare e, spesso, di cultura politica, le persone animaliste e antispeciste votano (e non votano) in maniera disorganizzata e cadendo nelle logiche dell’attivismo single-issue, cioè dell’attivismo interessato esclusivamente a singoli temi, a questioni specifiche, a rivendicazioni limitate. Capita, così, che esse votino partiti che promettono di sposare l’agenda animalista a prescindere dalle loro idee sulla proprietà, sul lavoro, sulla redistribuzione, sulla giustizia ambientale e sui diritti civili, sociali e politici. Così disomogenei e disorganizzati, gli animalisti e gli antispecisti italiani non rappresentano un interlocutore credibile per nessun partito politico, ma un target di marketing cui rivolgersi in campagna elettorale.

Certo la Sinistra ha le sue colpe. Marx ed Engels, nel Manifesto, avevano derubricato la questione animale giudicando l’animalismo “socialismo conservatore o borghese”; un riformismo che mirava a “porre rimedio ai mali sociali per garantire la permanenza della società borghese” (“Manifesto del partito comunista”, Feltrinelli 2020, pag. 43). Fu un errore che sarebbe costato caro sia in termini di credibilità dell’antispecismo nei confronti dei compagni e delle compagne, sia in termini di avversione nei confronti del socialismo da parte di animalisti e animaliste che però, bisogna ammetterlo, Marx ed Engels non li leggono granché, e quindi non hanno quasi mai posto la questione in termini teorici ma si sono spesso limitati e limitate a un piano per così dire fenomenologico, denunciando le proverbiali “braciate” rosse alla festa de L’Unità. Che la liberazione animale sia legata alla liberazione umana, però (e che anzi da un certo punto di vista la implichi logicamente, dato che anche l’essere umano è un animale), è sempre più evidente. Non solo la crisi eco-climatica impone, se vogliamo evitare le sue peggiori conseguenze, la riorganizzazione della produzione compresa una riduzione drastica del numero degli animali sfruttati negli allevamenti; ma le recenti zoonosi, epidemie di origine animale, hanno insegnato che dobbiamo ripensare l’intero rapporto umano con il resto dell’animalità. È stato proprio durante la pandemia che sono esplosi focolai di Covid-19 nei mattatoi di tutto il mondo, Italia compresa, e con essi i casi di sfruttamento operaio nel settore, legati all’ampio ricorso a manodopera straniera assunta tramite il sistema di scatole cinesi delle cooperative, sottopagata e costretta a lavorare anche nella fase più critica dell’emergenza. La squalificazione degli altri animali giustifica la squalificazione di gruppi umani sfruttati normalizzando il sistema gerarchico del dominio degli uni sugli altri, naturalizzando una condizione storicamente determinata di sfruttamento e, con essa, l’idea che ci siano soggettività che contano e soggettività che non contano. Che la classe lavoratrice rientri fra queste ultime sembra, purtroppo, non aver ancora suscitato in essa grandi simpatie per gli altri animali. C’è però almeno un senso in cui Marx ed Engels avevano ragione sull’animalismo, ed è qui che lo slogan di “Anche gli animali votano” rivela il suo carattere borghese: un Paese più giusto per gli altri animali non sarebbe necessariamente più giusto anche per gli animali umani. Basti pensare all’aumento dei diritti e della considerazione goduti da alcune specie rispetto a qualche decennio fa, e confrontarli con quelli dei migranti, dei profughi e dei rifugiati, con quelli delle schiave sessuali costrette sui marciapiedi, con quelli dei soldati bambini, dei nativi cacciati dalle terre ancestrali o degli invisibili sfruttati a morte nelle piantagioni o su una bici per le vie delle nostre città, intenti a correre per ore per portarci il pranzo e la cena ordinata con un click dal divano di casa mentre accarezziamo il nostro compagno a quattro zampe. Chiusi allevamenti e mattatoi, lavoratori e lavoratrici possono ancora essere costretti a lavorare in condizioni semi-schiavistiche mentre producono burgers di ceci e macinato di soia.

Liberazione umana e liberazione animale si implicano e si rafforzano reciprocamente, allora, se e soltanto se sostengono una politica tesa all’emancipazione universale dal bisogno e alla liberazione di ogni soggettività dallo sfruttamento e dai rapporti di dominio che la reprimono, che la diminuiscono e che la negano. La sponda di una politica di questo tipo non può essere rappresentata né dai partiti di destra né da quelli del centro neoliberista, che servono gli interessi della classe padronale e del capitalismo responsabile anche dell’aumento esponenziale, per numeri e per grado, dello sfruttamento animale globale. La collaborazione con tali forze potrà forse garantire, come ha fatto in passato, conquiste puntuali e progressi specifici il cui indubbio valore non dovrebbe oscurare, però, la necessità di creare consapevolezza e consenso attorno a progetti politici più adeguati allo scopo della liberazione animale. Se i piccoli successi del collaborazionismo animalista ostacolano o rallentano il processo di formazione, coesione e coscientizzazione del movimento, allora, come faceva Lenin con il tradeunionismo che rinunciava al socialismo per un copeco o per un rublo, dovremmo semplicemente liquidarli.

Dario Manni, Gruppo di Antispecismo Politico

Gruppo di Antispecismo Politico è un collettivo ecosocialista antispecista con un approccio multidisciplinare, attivo nello studio e nella ricerca sui temi della giustizia animale e sociale. Ci proponiamo, fra le altre cose, di indagare e denunciare l’influenza del neoliberalismo sul mondo della lotta per i diritti e la liberazione animale e su quello dei movimenti sociali in generale.

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