Verso la fine del percorso universitario, ad un gran numero di laureandi italiani viene richiesto di compilare una particolare modulistica che, tra domande e definizioni di sé, del proprio vissuto e delle proprie aspirazioni, consente di stilare un profilo informativo sullo studente che si appresta ad approdare al mondo del lavoro. Il soggetto autore e promotore di questa iniziativa è Almalaurea, un consorzio che riunisce 73 università italiane, che si occupa di promuovere la ricerca di un posto di lavoro per i neolaureati: attraverso il questionario e grazie ad un’ampia gamma di iniziative ed eventi, Almalaurea si propone di rendere più facile la comunicazione e lo scambio di informazioni tra università e mondo del lavoro.
Le statistiche rivestono un’importanza fondamentale in questo processo, poiché valutare i numeri dell’operazione di inserimento professionale dei neolaureati è fondamentale allo scopo di stabilirne il successo o meno. Così, anche quest’anno il rapporto di Almalaurea ha proposto dati interessanti e destinati a far discutere. La sede della presentazione quest’anno è stata Napoli, e non si è trattato di una scelta casuale: nella città della più antica università “statale” del mondo, la “Federico II”, si è fatto il punto, tra l’altro, sui dati allarmanti sull’abbandono universitario e sul modesto rapporto tra numero di laureati e di occupati al sud.
Il Presidente di Almalaurea Dionigi è stato subito chiaro: <<Il Sud tra 15 anni sarà un guscio vuoto>>, perché troppi studenti emigrano verso gli atenei settentrionali e troppo pochi studenti meridionali, a parità di titolo conseguito, riescono a trovare lavoro nel Mezzogiorno, essendo quindi costretti ad emigrare al Nord. L’amara verità si legge proprio nell’ultimo rapporto del consorzio, che propone numeri disarmanti: dei 15.265 laureati triennali nel 2014, quelli che hanno trovato effettivamente lavoro sono solo il 53% al sud, contro la media nazionale del 67% (va comunque sottolineato che sono considerati occupati anche coloro che sono in formazione retribuita); dei laureati triennali occupati al sud, però, solo il 43% può considerarsi titolare di un impiego stabile. Anche sotto la voce “stipendi” la disparità tra nord e sud è evidente: nel Mezzogiorno si guadagnano in media 957 euro contro i 1079 del settentrione.
Se invece si considerano i dati relativi ai laureati magistrali meridionali, i numero migliorano leggermente, ma non in senso assoluto: ad un anno dal titolo ne è occupato solo il 60%, contro il 70% del nord. I laureati alla “Federico II” si piazzano un po’ meglio, intorno al 64%. A tre anni dalla laurea, invece, gli occupati salgono al 74% in Campania, contro una media nazionale dell’82%. Anche per i laureati magistrali, infine, resta aperta la forbice della retribuzione.
Quali conclusioni da trarre anche solo da questi pochi numeri? Evidentemente, la prima considerazione che sorge è che la laurea non è più titolo utile ad un impiego immediato e privilegiato; anzi, spesso non si trova nemmeno un impiego corrispondente alla formazione ricevuta, poiché solo il 55% degli impiegati svolge un lavoro congruente con quanto ha appreso. Del resto, i laureati in Italia sono sempre meno: la crisi di “vocazioni” degli studenti italiani in genere e meridionali soprattutto va peraltro in controtendenza rispetto al resto d’Europa, dove il nostro Paese è maglia nera, come afferma il rettore della “Federico II” Manfredi.
Fuga dall’università in genere, prima ancora che fuga dalle università del sud: è questo lo spaccato che emerge dai dati Almalaurea? Il Presidente Dionigi è chiaro in proposito: <<in Italia il 52% delle persone giovani ma anche meno giovani ritengono più efficace trovare lavoro non investendo in percorsi accademici ma attraverso il classico metodo della raccomandazione, indice tra l’altro di un basso senso civico, causato anche dalla sfiducia nelle Istituzioni>>. Non sorprende dunque che al sud, se già a parità di titolo con un laureato al Nord si trova più difficilmente lavoro e si viene retribuiti di meno, il fenomeno del calo degli iscritti assuma proporzioni ancora più vaste, con la Campania (regione più giovane d’Italia) che registra persino un – 30%. Il problema probabilmente sta anche nel sistema universitario in sé: il rettore Manfredi invita ad una profonda riflessione sull’architettura dei corsi di studio, invitando a <<rivedere l’efficienza del “3+”, giacché oltre il 51% degli studenti sceglie di iscriversi alle magistrali>>.
Va però sottolineato come possano esistere delle realtà più rosee, al sud e in Campania in particolare: in un’intervista rilasciata al Corriere del Mezzogiorno, il rettore dell’Università di Salerno Tommasetti ha orgogliosamente affermato la crescita dei numeri del suo ateneo, che è al 14° posto in Italia per numero di immatricolati e al secondo per incremento di nuovi iscritti. Campus, politica popolare sulle tasse (gli studenti in regola con gli esami a fine anno ricevono il rimborso di quanto versato), accoglienza, dialogo con le scuole del territorio: sembrano questi gli elementi vincenti del mix salernitano. Il problema del lavoro rimane anche per i laureati a Salerno, tuttavia è <<positivo che i nostri ragazzi studino qui e, se proprio devono partire, emigrino dopo la laurea. Così almeno restano legati al territorio>> aggiunge Tommasetti.
Ludovico Maremonti