NAPOLI – Tra Ottobre e Novembre arriverà anche la ”Buona Università”. Libero Pensiero News ha intervistato il ricercatore dell’Università degli Studi di Torino, Alessandro Ferretti per fare il punto della situazione:
Dopo la ”Buona Scuola”, la ”Buona Università”. Si va sempre di più verso una privatizzazione del sistema universitario ..
«Gran parte del sistema universitario è già stato aziendalizzato con la legge Gelmini, la quale ha introdotto i consigli di amministrazione ed ha eliminato molti spazi di discussione all’interno dell’università. Quello che sembra si voglia fare è ridurre l’università un po’ come in politica, un corpo indistinto in basso e dei capi in alto senza alcun spazio di discussione in mezzo. Soprattutto la Buona università sembra voler rendere strutturale la precarietà. Abbiamo sempre detto che la precarietà è uno dei grossi problemi dell’università perchè chi è precario rischia di fare ricerca non in buone condizioni e di doverla interromperla. E’ evidente che il governo non ha ben chiaro cosa voglia fare. La speranza è che l’università riesca a reagire per evitare di fare la stessa fine della scuola»
Ferretti è impensabile che negli Stati Uniti, ogni anno solo per Harvard si investono 4 miliardi di euro. In Italia con 7 miliardi si pretende di mandare avanti tutta l’università pubblica.
«E’ assolutamente un paradosso che ha però delle spiegazioni. Non si può far ricerca e non si può fare una buona didattica universitaria se non ci sono i fondi. Noi abbiamo un rapporto studenti /docenti estremamente elevato. Venire a pretendere che il sistema universitario dia ancora di più di quello che da, quando è evidentemente sottofinanziato è semplicemente una scusa per ridurla ancora di più»
ALESSANDRO FERRETTI, RICERCATORE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO
Una buona notizia però sembra essere il ritiro della norma valuta atenei. Una battaglia che avete vinto ..
«Una vittoria del buon senso generalizzato. Si trattava di una norma così assurda che penalizzava delle persone solo perchè erano nate in un certo posto. Un sistema universitario nel quale si diceva ”se ti sei laureato al sud”, non solo hai già tutti gli svantaggi di trovarti in un territorio difficile con una situazione produttiva complessa, ma hai un’ulteriore handicap, solo per il fatto che ti sei laureato in un’università considerata di secondo livello. Il buon senso, in questo caso ha avuto la meglio»
Lei fa ricerca, si dice che la crisi produttiva del nostro paese dipenda dalla poca innovazione. Eppure i ricercatori italiani sembrano essere tra i migliori al mondo, ma sono pochi(4 su 100). Come mai?
«Il problema della mancata innovazione è difficile imputarlo alla sola università. L’innovazione sul piano produttivo viene dalle imprese. I paesi che hanno una forte innovazione sono le imprese investono in ricerca. L’Italia ha una situazione molto particolare: c’è stata una forte tendenza ad incentivare il famoso rapporto tra università e industrie ed è una cosa che sta procedendo. Ci sono molte industrie che pagano borse di dottorato per far fare la ricerca all’interno dell’università. Questa, però è un’arma a doppio taglio perchè sicuramente in questo modo le industrie hanno la possibilità di spendere pochissimi soldi (40 mila euro in tre anni la borsa di dottorato) e di ”comprarsi” un ricercatore, quindi a bassissimo prezzo può far sviluppare dei progetti innovativi. L’altro lato della medaglia, però è che l’impresa è totalmente disincentivata ad avere un suo centro di ricerca perchè il pubblico fa una concorrenza spietata sul presso. Conviene di più andare a comprarsi un dottorato, piuttosto che mettere su un proprio centro di ricerca interno, il quale però darebbe più continuità ed in forte impulso all’innovazione. Dobbiamo capire che politica vogliamo fare in rapporto ad università ricerca».