Le firme di Kevin Durant e Kyrie Irving stravolgono completamente il panorama della Eastern Conference. In attesa che l’ex n.35 ora n.7 ritorni dal tremendo infortunio, i tifosi dei Nets possono sorridere per essere riusciti nell’impresa di arrivare a due dei migliori giocatori della Lega. Chi lo avrebbe previsto solo un anno fa?
In NBA le cose cambiano in fretta, lo sappiamo. La frequenza con cui i grandi giocatori si spostano è enormemente aumentata nel corso di questi ultimi anni, rendendo meno fondamentale essere in prima linea al draft. Naturalmente il fatto che la lottery sia indulgente con le franchigie in difficoltà ha sempre un suo enorme peso, ma se prima pescare una futura stella al draft – o numerose – voleva dire avere la certezza di costruire un futuro attorno ad un giocatore-franchigia, adesso questa certezza non è più tale. I giocatori hanno maggiore fretta, vogliono iniziare a competere già nei primi anni, o quantomeno vogliono che la dirigenza abbia le idee chiare per gettare le basi per farlo. Le franchigie, lo stesso. Lo abbiamo visto con DeMar DeRozan, DeMarcus Cousins e tanti altri, se i gm ritengono di riuscire ad arrivare a qualcosa di meglio, che sia Kawhi Leonard o altre scelte, non ci pensano due volte, con buona pace alla cosiddetta ‘loyalty’.
In un mondo in cui, dunque, non è più vitale scegliere il proprio fenomeno al draft, quello che conta è farsi trovare pronti, costruirsi una credibilità tale da convincere i giocatori che spostano gli equilibri – che non sono molti – a comprare il progetto, come dicono dall’altra parte dell’Atlantico. E questa free-agency l’ha dimostrato: i grandi giocatori non vogliono andare nei big market come quello dei Knicks e dei Lakers, se le condizioni per potersi esprimere al meglio non vengono garantite. Magari scelgono comunque New York e Los Angeles, ma decidono di andare ai Clippers e ai Nets. James ha scelto i gialloviola per motivi anche extra-cestitici, legati al suo futuro quando appenderà le scarpette al chiodo, e senza di lui Davis non avrebbe mai scelto una franchigia così disfunzionale come quella sedici volte campione. James Dolan, invece, continua nell’impresa di rendere un brand dal valore di 4 miliardi di dollari, nella città che è il centro dell’universo, inappetibile. Che è molto più complicato rispetto a vincere il titolo, a dir la verità.
BACK TO 2013
All’indomani dell’ormai famosa trade tra Brooklyn e Boston, nessuno sapeva quale avrebbe potuto essere il futuro dei Nets, che avevano impegnato il proprio futuro per un improbabile e disperato tentativo di competere con i Miami Heat. I risultati di quell’esperimento li conosciamo, così come abbiamo conosciuto cosa hanno dovuto sorbirsi i tifosi, quando tutto è colato a picco. Nessuna scelta, nessun giocatore vagamente futuribile in rosa, i Brooklyn Nets erano esattamente l’esempio più lampante e crudo di cosa vuol dire sbagliare in un sistema come quello della NBA. Sono stati anni difficili, in cui il massimo a cui si poteva aspirare era arrivare a trenta vittorie in una stagione. Dall’altra parte, invece, c’erano i Celtics. Tutti volevano essere i Celtics, tutti i general manager avrebbero voluto essere al posto di Danny Ainge e avere la possibilità – once in a lifetime opportunity – di poter creare qualcosa di importante. E quando solo due estati fa era riuscito nel capolavoro di portare Irving (e Hayward) al TD Garden, la sensazione era che Boston potesse solo continuare a crescere e migliorare, migliorare e crescere. E vincere.
WELCOME TO BROOKLYN
Ma le cose in NBA cambiano così velocemente, oramai, che è anche complicato restare al passo di tutte queste manovre. E quei Celtics, assoluti vincitori di quella trade, oggi si ritrovano in mano con un pugno di mosche: hanno perso Kyrie e Al Horford, Hayward a causa dell’infortunio non ha mai reso come avrebbe dovuto. Mentre Brooklyn in una sola stagione, quella appena trascorsa, è riuscita a costruirsi una credibilità tale che due dei migliori giocatori al mondo hanno deciso, senza troppi dubbi viste le tempistiche con cui si è arrivati alle firme, di scegliere il Barclays Center come propria casa per i prossimi anni.
Dopo essere stati paparazzati a parlare di due max slot disponibili allo scorso All-Star Game di Charlotte, ogni singolo insider era convinto che Kevin Durant e Kyrie Irving avrebbero potuto giocare assieme a New York. Nessuno, però, immaginava potessero essere i Nets. In pochi giorni, Sean Marks e Michail Prochorov sono riusciti a portare a termine ciò che i Knicks provano a fare da una vita: rendere una contender la propria franchigia.
Resta un solo interrogativo sull’affermazione fatta qui sopra e riguarda ovviamente l’infortunio di Durant. Il due volte MVP delle Finals ha subito uno di quelli che vengono definiti career ending injuries, considerando la sua età non più giovanissima (KD compirà trentun anni il prossimo 29 settembre). Impossibile dire oggi quali saranno le condizioni con cui tornerà sul parquet di gioco nella stagione 2020-21 – escluso assolutamente che possa rientrare nella prossima. Giocatori che recentemente hanno sofferto del suo stesso infortunio in un età simile alla sua non hanno più inciso come prima. Il VORP di Rudy Gay e Wesley Matthews è crollato. Cousins ha addirittura faticato a trovare un contratto quest’estate. Kobe Bryant non è più stato il giocatore che era prima, anche se lui era già entrato nel trentaquattresimo anno di vita e aveva un chilometraggio molto più elevato di Durant. I conti si faranno solo al suo rientro in campo.
Sarà una stagione molto particolare, la prossima per i Nets. Se fossimo in un videogioco probabilmente l’avrebbero già skippata per arrivare al 2020. Ma se tutto dovesse filare liscio e Durant dovesse tornare il giocatore che era prima – o anche solo al 90% – ripenseremmo a quest’estate e allo straordinario lavoro della dirigenza. Non ci resta che aspettare. Nel mentre ci godiamo Kyrie Irving alla guida di una squadra molto divertente.
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Michele Di Mauro