Tra le peculiarità di Rossana Rossanda c’era sicuramente quella di essere stata una donna eclettica: dalla partecipazione attiva durante la Resistenza antifascista all’impegno politico; passando per la fondazione del quotidiano comunista “Il Manifesto”, al coinvolgimento nelle istanze femministe di fine millennio.
L’indole audace che la caratterizzava le ha, infatti, permesso di misurarsi con gli eventi cruciali del suo secolo, ai quali sentiva fortemente di appartenere, titolando la sua autobiografia “la ragazza del secolo scorso”. Sarebbe arduo ridurre a mere tappe la storia di una donna come Rossana, come dire che le conseguenze delle sue scelte abbiano fatto bene o anche male agli orizzonti sui quali si è arenato il fronte comunista. Viceversa quel che si può desumere da una prima lettura della sua vita è immaginare il solco che la scomparsa lascerà nel dibattito politico contemporaneo, sempre più scevro di impeto culturale ed intellettivo.
“Per essere liberi bisogna saper rischiare. La libertà è un rischio”, amava recitare Rossana Rossanda. Effettivamente non le potremmo dar torto se riflettessimo sui rischi che ha dovuto correre, quando ad esempio ritenne possibile una coesistenza tra comunismo e libertà individuale. Credeva fermamente che la libertà appunto, fosse un bene irrinunciabile, ma per raggiungerla bisogna avere il coraggio anche di rischiare.
Però, senza la piena consapevolezza della parola “libertà” e delle sue inevitabili implicazioni, non avrebbe di certo intrapreso la lotta partigiana, mettendo a repentaglio la sua vita ancora giovanissima. Senza l’agognata libertà di pensiero, non avrebbe ipotizzato un Partito Comunista diverso e slegato dalla deriva sovietica, inimicandosi gran parte degli allora dirigenti e “guadagnandosi” la conseguente radiazione. Non avrebbe nemmeno dato adito, attraverso la costituzione del quotidiano “Il Manifesto”, insieme ad altrettanti rispettabili giornalisti del calibro di Luigi Pintor, Valentino Parlato, Lucio Magri e Luciana Castellina, alla voce di una folta generazione che si stava approcciando ai cambiamenti, dopo le esperienze traumatiche dei moti studenteschi ed operai e della sanguinosa Primavera di Praga.
Proprio l’invasione sovietica della Cecoslovacchia nel lontano ‘69 ha segnato un passaggio decisivo nel rapporto tra Rossana Rossanda e il PCI, transitando in breve tempo dalla prestigiosa carica di responsabile culturale del Partito all’essere additata come una “comunista eretica”, per la sua visione troppo progressista e libertaria.
Lungi dal voler attribuire in questa sede il premio “verità inconfutabile” ad una corrente piuttosto che ad un’altra, sarebbe opportuno rimarcare i benefici che il sano confronto – tanto caro a Rossana -, bandito da qualsivoglia esperienza totalitaria sinora conosciuta, possa contribuire alla costruzione di modelli di società nuovi e alternativi. Pertanto è doveroso non perdere di vista che il sacrosanto diritto di poter mettere in discussione l’operato proprio o degli altri, attraverso la sana critica costruttiva, rimane un valore imprescindibile delle società egalitarie e democratiche.
Grazie al coraggio delle idee e alla libertà di cui si è sempre nutrita, l’esempio di Rossana Rossanda può conciliare estimatori e detrattori. Nel mezzo delle faziosità ideologiche c’è proprio la lucida capacità riflessiva di compagne come Rossana. A prescindere da ogni giudizio politico (e teorico) è evidente che, la perdita di autorevoli menti pensanti come lei, assottigliano lo spessore culturale della società attuale, e il tempo – in questo – sembra tutt’altro che galantuomo.
Gianmarco Santo