Nelle Filippine, dopo l’elezione di Duterte, si è scelta l’idea di un uso della violenza come unica soluzione e giustificante. Il neo-presidente, memore della politica adottata a Davao, dopo la vittoria con una campagna elettorale basata sull’odio e la repulsione verso traffici di droga, corruzione e criminalità organizzata, ha potuto riadottare quei metodi da lui tanto prediletti.
Duterte, dopo aver concesso alle forze dell’ordine la licenza di uccidere, in poco più di sei mesi ha fatto registrare circa 3.000 morti appartenenti alla criminalità e non solo, dato che in vari casi si è trattato di un semplice scambio d’identità. Ciò che resta di queste sparatorie sono solo rapporti della polizia, visto che vengono eliminati anche i testimoni di questi atti, mentre le persone, per troppo timore di ricevere lo stesso trattamento, non proferiscono parola.
L’unico caso di un testimone ancora in vita è quello che riguarda Francesco Santiago. Il superstite, in seguito ad un raid nel quale si è finto morto, ha raccontato ai giornalisti come le autorità si comportino successivamente ad una sparatoria, ossia rimuovendo frettolosamente i corpi nei luoghi dei raid; in alcuni casi viene apposto un cartello nei pressi della vittima, ad indicarne il ruolo avuto nella criminalità: come se un “pusher” potesse essere un motivo determinante per sancire la fine di una vita.
Il presidente delle Filippine, parlando nel merito della lotta che sta conducendo a discapito della criminalità organizzata e il narcotraffico nel suo paese, si è così espresso: «Ho il dovere di salvare una generazione. Non mi importa dei diritti umani. Devo incutere paura, perché i nemici del governo vogliono uccidere i nostri figli».
Ciò che più impressiona è il gradimento da parte del popolo. Secondo un sondaggio, infatti, circa il 76% delle persone è soddisfatto di come Duterte stia governando. Un evidente sacrificio dei diritti umani per la salvaguardia del cittadino.
Si è arrivati al punto d’intendere l’uccisione come essenziale: nessuna possibilità di riscatto, nessuna possibilità di reintegrarsi nella società, nessuna possibilità di redimersi, nessun diritto, nessuna giustizia.
In campo internazionale, Duterte ha dimostrato la stessa fermezza e decisione nelle sue volontà: infatti, più volte ha ignorato le accuse a lui rivolte dai vari esponenti i quali lo incolpavano di aver adottato metodi barbari. Dopo varie richieste da parte di Unione Europea, Stati Uniti e ONU di porre fine a un sistema così macabro, il presidente filippino ha liquidato con convinzione tali suggerimenti, dimostrando di credere fermamente nel metodo adottato in passato a Davao e che ora usa per le Filippine.
Lo smarrimento di stabilità, idee, simboli e identità che sembra segnare il mondo odierno è probabilmente dovuto, in gran parte, alle varie depressioni cui siamo soggetti: la crisi in campo economico, sociale e – in un discorso più ampio – dei valori sono la peculiarità di questo periodo storico.
Queste condizioni hanno fatto sì che i cittadini, per evitare ulteriori drammaticità, si affidassero a personaggi con modi e maniere non propriamente corretti a livello etico. Ciò che contraddistingue queste figure è il proporre idee di denigrazione, violenza e xenofobia come soluzioni per affrontare i pericoli che “incombono” sul mondo.
Vincenzo Molinari