L’elezione del successore di Giorgio Napolitano al Quirinale rappresenta un piccolo puzzle per Matteo Renzi da risolvere rapidamente entro gennaio, quando molto probabilmente ci saranno le sedute comuni del Parlamento, studiando e inserendo con accuratezza ogni singola unità che fa parte di questo “gioco”. Le mosse obbligate per il premier saranno: verificare la resistenza del fragile Patto del Nazareno e assicurarsi che Silvio Berlusconi riesca a ricompattare Forza Italia (Fitto permettendo); riavvicinare la minoranza Dem, che già si è messa in movimento con il nome di Romano Prodi, tentandola con nomi condivisi; approfittare del rinnovamento nel M5S, il quale potrebbe portare vantaggi sulla maggioranza di governo, sia per il Jobs Act e riforme in via generale, sia per l’elezione del prossimo Capo dello Stato.
Intanto, Prodi a parte, su cui, quasi sicuramente, la trattativa con il leader di Forza Italia non inizierebbe nemmeno, gli altri nomi che girano intorno al premier non sono ostici al PD. Tra questi rientra sicuramente Walter Veltroni, del quale, però, Berlusconi non sembra essere pienamente convinto, che invece, si dice, preferisca personalità politiche come Dario Franceschini, un’alternativa non condivisa in tutto il PD. Non vengono esclusi nomi come Pier Carlo Padoan, Roberta Pinotti e Anna Finocchiaro. Mentre sembrano fuori partita Franco Marini e Giuliano Amato.
Tra le minoranze PD , insieme a quello di Romano Prodi, spunta anche il nome di Mario Draghi. Cesare Damiano, esponente “non-renziano” del partito ed ex CGIL , infatti, dichiara: “Per me Prodi andrebbe benissimo per fare il Capo dello Stato. Per me Draghi andrebbe benissimo. Voglio un Presidente della Repubblica autonomo, autorevole, che sia in grado di stabilire una proficua dialettica con il governo”.
Inoltre, i timori del governo riguardano la possibilità di un’intesa tra la fronda Dem, insieme anche ad altri esponenti dell’area riformista, e il M5S sul nome di Romano Prodi. In questo caso, non solo si complicherebbe l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, ma, venendo meno sicuramente l’accordo Renzi-Berlusconi, crollerebbe il progetto di riforme del governo. A tal proposito si è espresso proprio Roberto Speranza (che ha votato il Jobs Act) in un’intervista con la Stampa, avvertendo il premier dicendo: “Matteo cambi registro se non vuole sorprese sul Quirinale”.
Infine, tra la cerchia di nomi renziana vi sono anche alcune ipotesi che servirebbero ad attrarre voti cinquestelle: Raffaele Cantone, attuale capo dell’unità anti-corruzione di Palazzo Chigi, e Nicola Gratteri, procuratore di Reggio Calabria. Intanto il premier osserva con attenzione le novità dei pentastellati, visto che tra i cinque nomi del “direttorio” non appare nemmeno un senatore. La settimana prossima il Jobs Act verrà discusso in Senato e a metà dicembre arriverà in aula anche la riforma elettorale: malcontenti generali e sorprese? Il meglio deve ancora venire.
Andrea Palumbo