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Congo: blackout mediatico sulle elezioni

La prossima volta che, in occasione di una tornata elettorale, il lettore maledirà l’onnipresenza di sondaggi, previsioni, proiezioni, exit poll, amici che renderanno noti sui social networks o persino con sms  risultati, aggiornamenti e soprattutto commenti fatti in casa, ebbene provi a ricordare questa storia che arriva dal Congo (la Repubblica in questione non va confusa con la confinante ad est e quasi omonima Repubblica Democratica del Congo: la differenza sta praticamente nell’ex colonizzatore, che nel primo caso era francese e nel secondo caso belga). Una volta di più, in quell’occasione, si accorgerà che la possibilità di partecipare via etere ad un confronto di idee tra semplici cittadini o di ascoltare la più seriosa e documentata dialettica mediatica, così apparentemente scontata e banale, quasi fastidiosa, costituiscono un lusso che contribuisce a tenere in piedi la democrazia in cui vive: se così non fosse, del resto non si spiegherebbe perché è proprio la diffusione dell’Informazione, quella professionale e di massa, ma anche quella privata e fai da te, che il governo del Presidente del Congo uscente Denis Sassou Nguesso ha tentato di limitare e ostacolare, durante e dopo le elezioni presidenziali di domenica 20 marzo scorso.

Già qualche ora prima dell’apertura delle urne, il Governo aveva annunciato formalmente l’imposizione di una sorta di blackout lungo 48 ore, a partire dalla chiusura dei seggi, per le linee telefoniche ed internet: il blocco alle telecomunicazioni in tutto il Congo veniva imposto fino all’annuncio dei risultati ufficiali, per motivi di sicurezza nazionale. Le elezioni che avrebbero dovuto far scegliere ai cittadini il nuovo Presidente, a partire da una rosa di nove candidati, proponevano una sorta di Sassou Nguesso contro tutti. L’anziano ex colonnello, guida del Paese per 32 anni (anche se non tutti consecutivi: i mandati hanno avuto luogo dal 1979 al 1992 e dal 1997 – dopo una sanguinosa guerra civile – ad oggi) era sfidato da 8 esponenti dell’opposizione, tra cui l’autorevole ex generale Kotoko, già collaboratore del Presidente fino a febbraio ed attualmente con incarichi presso l’Unione Africana. Sassou Nguesso si presentava alle urne dopo la vittoria del “sì” al referendum costituzionale da lui stesso promosso nello stesso ottobre, quando la Carta fondamentale era stata ritoccata eliminando il limite di due mandati consecutivi per lo stesso Presidente: in quell’occasione, nel Paese erano divampate diverse tensioni, degenerate in scontri che avevano causato alcuni morti tra le fila dell’opposizione, che accusava un golpe costituzionale.

Il pericolo di nuove agitazioni, in conseguenza di un risultato elettorale che sembrava già pericolosamente scontato, ha dunque consigliato la mossa del blackout: la misura ha creato ancor più disillusione in un Paese che, nonostante il (o a causa del) lungo corso di Sassou Nguesso, non riesce a cavarsi fuori dal sottosviluppo. La crescita lo scorso anno è stata di un +5%, soprattutto grazie al petrolio e al legname, ma la disoccupazione nel 2013 era attestata ad un tremendo 34%, col 60% dei numerosissimi laureati congolesi tristemente senza impiego; il Fondo Monetario Internazionale ha avvertito che, senza riforme, si concretizzerebbe il rischio di una nuova instabilità interna.

I Governi occidentali, una volta a conoscenza della trovata del Presidente, hanno reagito stigmatizzandola con apparente fermezza: il Dipartimento di Stato americano ha persino pubblicato una nota, nella quale è stato elogiato l’entusiasmo democratico dei votanti nonostante “gli impedimenti” e ha invitato le autorità congolesi a ripristinare telecomunicazioni e media, per assicurare la trasparenza del processo elettorale ed evitare che la calma apparente degeneri. Stessa iniziativa l’ha adottata l’UE, che per la verità aveva già rinunciato ad inviare osservatori, ritenendo la competizione già truccata; l’ex padrona coloniale, la Francia, ha invece affermato di voler vigilare sullo svolgimento dello spoglio elettorale. Ovviamente, queste autorevoli prese di posizione non hanno sortito alcun effetto.

L’intento del blackout era chiaro ed irrinunciabile per Sassou Nguesso: tentare di ostacolare la diffusione di risultati elettorali alternativi a quelli messi in circolazione dalla Commissione Nazionale Elettorale Indipendente. L’opposizione si era infatti dotata di propri comitati tecnici, che avrebbero eseguito operazioni di spoglio proprie per verificare la veridicità dei risultati, ma che si sono rivelati quantomeno inefficaci a causa del blackout. In barba alle potenze mondiali, il blocco comunicativo è stato persino prolungato ben oltre la diffusione dei primi verdetti parziali, che vedevano l’ex Presidente già in testa, col 60% delle preferenze.

La percentuale di consensi è rimasta la stessa anche nei risultati ufficiali, finalmente comunicati lo scorso 25 marzo. L’opposizione ha subito annunciato di non riconoscere il verdetto della Commissione Elettorale, con Mokoko (ufficialmente aggiudicatosi solo il 14% delle preferenze) che ha invitato il popolo ad insorgere per i propri diritti. Proprio il pericolo di sommosse ha causato il prolungamento ulteriore del blocco mediatico da parte del Governo, anche se gli unici problemi di ordine pubblico, in una Brazzaville già mezza deserta per la fuga di tanti cittadini, timorosi di una violenta degenerazione degli eventi, li avrebbero causati proprio le forze governative: notizie purtroppo non del tutto confermabili (impossibile reperire in simili condizioni informazioni sufficienti) riportano assalti di uomini in divisa ai comitati elettorali dell’opposizione, dove ci sarebbe scappato anche il morto. Alcuni giornalisti francesi (di Le Monde e AFP), nonostante la “vigilanza” di Parigi, hanno riportato intimidazioni e minacce al loro indirizzo.

Ancora oggi l’opposizione continua a ribadire l’impossibilità della vittoria di Sassou Nguesso e la convinzione che si debba andare almeno al ballottaggio, anche se non può rendere noti i risultati in proprio possesso a causa del blackout: solo il Governo continua a disporre in tutta comodità dei media, nel tentativo di screditare i leader dell’opposizione, accusati anche di progettare un golpe. È stato infatti diffuso un video in cui Mokoko parla di rovesciare Sassou Nguesso, col primo che non ha negato l’esistenza del documento, ma che ha affermato che questo risale comunque al 2011.

Inutile negarlo, il consenso nei confronti di Sassou Nguesso comunque esiste in Congo: nonostante le accuse di corruzione, nepotismo e autoritarismo, non troppo di quel 60% di preferenze va considerato inventato, come sostengono alcuni analisti. Tuttavia, giocando col mazzo di carte mediatico truccato, in un tempo in cui l’informazione è tutto, si vince facilmente una partita che di fatto non esiste.

Ludovico Maremonti

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