Padri padroni, mogli sottomesse, figlie la cui massima aspirazione era quella di studiare per diventare maestre, e poi i figli maschi portati in palmo di mano perché visti come gli unici in grado di mandare avanti le aziende di famiglia.
Sembra fantascienza, ma in realtà è uno spaccato d’Italia nemmeno tanto lontana dai giorni nostri. Gli anni ‘50, ‘60, ‘70 sono i decenni più duri, quelli in cui apparentemente ci si trovava di fronte a famiglie perfette, paladine dell’amore e del perbenismo, mentre dietro le mura delle loro case la vita era tutt’altro che idilliaca.
Di padre in figlia, la fiction che si concluderà su Rai uno martedì 2 maggio, ha avuto l’ardire, il coraggio e la forza di raccontare tutto questo.
Una scrittura magistrale e degli interpreti perfetti, realistici al punto giusto. Sono questi gli ingredienti dello sceneggiato in quattro puntate che ha tenuto incollati alla Tv proprio tutti. Ottimi gli ascolti, assestati intorno al 26% di share e più di sei milioni di spettatori.
Facendo due calcoli lo spettatore medio dovrebbe essere proprio quello che quegli anni li ha vissuti, da bambino/bambina o genitore. Di conseguenza alcune domande sorgono spontanee : “Che cosa penserà chi in quel tempo, nel bene o nel male, c’è nato? Riconoscerà gli errori che la società di allora induceva a commettere? Ma soprattutto noi donne oggi possiamo davvero dire di essere libere, tutte, dalla schiavitù di quegli anni?”
Per un certo senso sicuramente sì, anche se quando accendiamo la televisione e sentiamo dell’ennesimo femminicidio qualche dubbio ci viene, anche se forse ci troviamo difronte a due mondi paralleli, egualmente gravi, ma differenti.
Quello che è certo è che Di padre in figlia ci restituisce un’analisi sociale magistrale della famiglia di allora, uno spaccato di società del quale dovremmo tutti indignarci, nonostante faccia parte del nostro passato.
Ci rende anche consapevoli dei passi avanti fatti nel corso del tempo, di quello che le donne erano e di quello che sono diventate. Più forti, più dignitose, capaci di combattere per i propri diritti. Perché non importa di che nazionalità siano, ciò che è fondamentale è il rispetto per loro stesse.
Di padre in figlia però racconta anche del riscatto, della voglia di cambiare questo mondo pazzo che avrebbe voluto donne sempre e comunque vessali, chiuse in casa a fare le mogli, le madri, le nonne, pronte a sopportare di tutto perché il padre, marito, nonno padrone era la normalità.
Di padre in figlia fa parte di quella serie di fiction che vuole elogiare il ruolo della donna che si riscatta, che smette di piegarsi al volere degli altri e inizia a pensare ed agire con la propria testa.
Martedì andrà in onda l’ultima puntata della storia e vedremo come le sorelle Franza prenderanno in mano le redini dell’azienda di famiglia, lanciata nel baratro proprio da quel unico figlio maschio tanto desiderato dal capofamiglia, ma che per ironia della sorte non è stato in grado di far altro se non danni.
Ben vengano prodotti televisivi di questo genere, capaci di unire la finzione di una storia scritta a tavolino, ma che di fatto trae spunto dalla realtà, ad immagini di repertorio che ci riportano immediatamente sul piano della vita vera. Le lotte di classe, le battaglie femministe, la libertà, il divorzio sono tutte componenti della nostra storia e questa fiction le ha raccontante egregiamente.
I bassanesi, il cui territorio è stato il set delle riprese, si sono però divisi. Alcuni ritengono che l’immagine di Bassano che arriva a casa non sia esattamente conforme al vero.
Quella di oggi sicuramente non è così come dipinta dalla fiction, ma quella di un tempo? Siamo davvero sicuri che non lo fosse o manca forse il coraggio di ammettere certe verità?
A voi l’ardua sentenza.
Enrica Leone