Napoli Callejon

Il Napoli (e Napoli) sono due realtà difficili da raccontare, e soprattutto da riuscire a far convivere. Il calcio giocato è una realtà che, qui come altrove in Italia, si appresta a diventare quasi centenaria. Invecchiare, però, non sempre fa bene come ai vini, perché si finisce per tornare improvvisamente petulanti e capricciosi, come da piccoli. Quasi insistenti, a volte pure orgogliosi e sragionati, dimenticando che la crescita dovrebbe portare anche a esperienza e maturità.

Intorno al Napoli di Ancelotti e De Laurentiis non si respira certo un clima sereno, e dopo le recenti sconfitte tra campionato e coppe (e uno scarso periodo di forma che si trascina da qualche mese), la contestazione dei gruppi ultras è peggiorata nell’ultimo weekend. I moniti sono rivolti alla società e al suo rappresentante più alto, il presidente, indicato da anni come ostacolo principale al tanto sperato salto di qualità della squadra e di una piazza intera.

Quello che è accaduto a Callejon nel post di FrosinoneNapoli è un gesto a cui questo sport è stato malamente abituato, tanto che per alcuni è diventato addirittura rispettabile, pur se non condivisibile.
Callejon, tra l’altro, è in ottima compagnia in una storia piena di rifiuti celebri. Fu rifiutata la maglia di Icardi dagli interisti nel febbraio del 2015 dopo aver perso con il Sassuolo, quella di Donnarumma, la 45 di Balotelli al Liverpool, finanche quella del capitano Totti un tempo.

Un modo rude, ma quasi naturale a detta di molti, che possa rendere udibile una protesta a cui però gli stessi tifosi hanno fatto più volte orecchie da mercante. È chiaro che la stagione appena trascorsa non ha soddisfatto i tifosi, ma chiamare in causa con modi così rudi un giocatore professionale e legato alla maglia come Callejon non è uno spot positivo per la tifoseria del Napoli, che ha sempre fatto della spinta e della passione la sua caratteristica principale. A Frosinone, invece, s’è visto un dodicesimo uomo che cova rancore per le speranze infrante, mugugnando un fastidio che ormai è cronico e probabilmente diffuso (in misure meno drastiche) anche in tribuna oltre che in curva.

Il rifiuto della maglia di Callejon, del capitano in campo, di un giocatore con 300 presenze appena festeggiate e un ruolo mai problematico tra squadra e società, non può passare inosservato. Un inutile attacco perpetrato ai danni del singolo, non giustificato dallo scopo di voler lanciare un messaggio ad altri per vie indirette. Sul fatto che poi ci sia o meno una solida base per portare alcune teste al banco degli imputati bisognerebbe aprire un’altra parentesi, forse un discorso a parte. Discorso che al momento scatta in secondo piano, dal momento che sono proprio queste forti esternazioni che inibiscono il rapporto tra società e tifosi, facendo presto a diventare solo pane per riviste e a scatenare malumori in campo.

Callejon

Quest’anno il contagiri non è ripartito nel modo che tutti speravano, e i discorsi sul campionato sono venuti meno già da diverse settimane. Eppure il secondo posto è a un passo, malgrado i difetti che il vizio sarrista aveva reso ben radicati e che Ancelotti ha dovuto rimuovere, rinunciando a soluzioni disponibili (proprio la posizione di Callejon, per fare un esempio) e ridimensionando un ambiente che Sarri aveva lasciato molto unito e collaudato. Lavorando in più sulle motivazioni dei singoli, a partire dall’ex capitano Marek Hamsik, fino ad arrivare al caso Allan e alla gestione dell’esuberante crescita di Kalidou Koulibaly. Un anno 0 che con un secondo posto è tanto di guadagnato (visto il ritorno delle milanesi e i proventi raccolti dall’Atalanta di Gasperini), e che non smentisce ciò che dalla panchina e dalla dirigenza risultavano essere le impressioni prima di iniziare.

Probabilmente, con il senno del poi, queste sensazioni non sarebbero venute fuori così forti dopo gli ottavi di finale di Champions League, che il Napoli non avrebbe per nulla demeritato. Sicuramente, anzi, un’avventura in un trofeo più abbordabile come l’Europa League ha caricato l’ambiente delle aspettative migliori nel momento peggiore (calo fisico e assenza di rimpiazzi opportuni). Ma con i se e con i ma potremmo parlare per ore.

Callejon

Il calcio, non lo diciamo per la prima volta, è un gioco. Ma la tendenza ad accettarlo pare che cresca a ritmi molto lenti. Con l’era moderna e i social media tutti abbiamo avuto la possibilità di esplorare mondi che non ci sono mai appartenuti, imparato a umanizzare alcuni contesti e sfere sociali che diversamente non avremmo persino pensato potessero esistere, entrando nella vita delle star e ottenendo il diritto imprescindibile della libertà di espressione. Il web è una cosa sacra, che in pochi attimi può portarti dal sentirti il più erudito degli opinionisti (sportivi, in questo caso) al ciarlatano di turno che viene condannato alla gogna mediatica. Tante volte è illuminante, ma altre ancora è il vincolo che ti forza alla più antica delle scelte. Quella di schierarti, e di fare una scelta senza mezze misure.

Da parte sua, Aurelio De Laurentiis di sicuro è uno che divide gli animi, e che non gode del piacere di essere molto bravo con le folle. Ha amministrato bene il Napoli, ed è con lui per il decimo anno consecutivo in competizioni europee (meglio addirittura della Juve). Il ranking degli azzurri è passato dal 113° posto del 2008-09 (stagione del rientro nelle coppe europee) con 14,582 punti (gli stessi dell’Empoli di allora!), al 13° posto di oggi riuscendo anche a scavalcare squadre dal fatturato decisamente più importante della società azzurra.

All’indomani delle contestazioni e all’alba di nuove tensioni che non mancheranno sicuramente, con la società che per bocca di Ancelotti è stata chiara nello stabilire le proprie intenzioni (ma questo lo è da sempre, pecca solo di teatralità), diventa naturale porsi nella posizione migliore, cioè a metà. Che una semplice domanda o critica non diventi la scintilla per un attacco, e che non si condanni il tutto per qualche nostro malcontento rabbioso. I grossi progetti, d’altronde, hanno bisogno di tempo.

I tifosi sono il motore vitale della carriera di un calciatore e della sua fama (come lo stesso Callejon), sono la domanda che accresce naturalmente il valore del prodotto, ed è una nostra/loro naturale tensione voler vincere. Bisogna tuttavia dividere il tifare dal pretendere, e iniziare a godere del calcio e dello sport per quello che sono. Chi non gradisce può uscire dalla porta sul retro e guardare altri sport. Tutto il resto verrà da sé.

Nicola Puca

Fonte immagine in evidenza: calcionapoli24

1 commento

  1. Condivido in pieno la tua lucida analisi caro Nicola e affermo con tenacia che quel gesto deprecabile e assurdo viene da una frangia di tifosi che non mi appartiene, anzi mi vergogna il semplice fatto di essere una tifosa napoletana e dover essere immischiata in un calderone di cafoni che non hanno idea di quanto abbiamo sofferto in passato e di come da anni respiriamo la meravigliosa aria della Champions. Di nuovo complimenti per l’articolo.

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