Anna Porczyk lavora all’Università di Varsavia. Parla polacco, italiano, inglese e tedesco fluentemente e ha studiato mongolo e spagnolo. L’abbiamo intervistata per capire come è nata la sua passione per le lingue, quali sono i suoi consigli per apprenderle e per sentire il suo parere sul legame tra studio delle lingue e xenofobia. Questa è la terza delle nostre interviste a poliglotti, dopo le domande rivolte a Marco Da Re e a Louise Valledor.

Quali lingue conosci e a che livello?

«Sono madrelingua polacca, conosco l’italiano, che per un certo periodo è stato per me la cosiddetta lingua di contatto, parlo anche inglese (C2) e tedesco (B1). Ho studiato lo spagnolo per qualche mese e il mongolo per quasi un anno.»

Cosa ti ha spinto ad imparare le lingue che conosci?

«Mio padre. Una volta è tornato dal lavoro e ci ha annunciato che la sua società gli aveva proposto un trasferimento in Italia per un breve periodo, solo che avrebbe dovuto prendere la decisione entro la mattina del giorno successivo.  Due mesi dopo eravamo già in viaggio per Milano. Io avevo 3 anni e ci siamo rimasti per quasi quattro.  L’inglese invece è stato sempre presente a casa; mi ricordo che quando ero piccola avevo una pila di cassette audio con delle registrazioni di lezioni d’inglese per bambini e mi piacevano così tanto che potevo ascoltarle dalla mattina alla sera. Il tedesco si studiava a scuola come terza lingua (allora un’alternativa al russo) e io l’ho continuato all’università un po’ per caso. Lo spagnolo e il mongolo invece sono state due lingue studiate come motivo (la prima) o come effetto (la seconda) dei viaggi che ho fatto.»

Usi le lingue nel tuo lavoro o nella tua vita quotidiana?

«Sì, adesso prima di tutto l’italiano: lavoro all’università e svolgo la maggior parte dei miei impegni in quella lingua. La insegno agli studenti e faccio ricerca accademica leggendo libri e scrivendo saggi in italiano. Vivo in Polonia ma a volte mi pare ci siano giorni in cui uso più l’italiano che il polacco. Dato che sono traduttrice di professione, in passato mi serviva moltissimo anche l’inglese, ora però lo uso meno e mi pare che purtroppo gli effetti si sentano già un po’. Se una lingua non viene praticata con regolarità, viene dimenticata molto più velocemente che imparata.»

È possibile imparare una lingua in tre mesi?

«È possibile imparare le basi, ma non di più, credo. Una volta l’ho provato con lo spagnolo perché stavo per andare in America Centrale per qualche mese e volevo studiarlo almeno un po’ per riuscire a comunicare con la gente. Quando una volta in Guatemala mi sono ritrovata costretta a parlare in spagnolo in un ospedale, mi ha sorpreso molto il fatto che sono riuscita davvero bene a farmi capire. Poi si è rivelato che il medico conosceva per caso l’italiano e solo per quello aveva capito il mio “spagnolo italianizzato”.»

Esiste il talento per le lingue?

«Nel corso del mio lavoro all’università e in diverse scuole di lingua ho notato vari casi di studenti molto (a volte sorprendentemente) bravi, che imparavano la lingua davvero velocemente. Certo, è anche una questione di impegno, ma mi pare che alcune persone abbiano una sorta di “intelligenza linguistica”: memorizzano velocemente le parole e le strutture, trovano degli agganci, delle interdipendenze e delle analogie con altre lingue, applicano facilmente le regole studiate negli esercizi pratici, ecc. Forse è il caso dei cosiddetti poliglotti. Sicuramente esiste il “buon orecchio” per l’accento e per la pronuncia che alcune persone mostrano, altre invece non tanto e a volte anche se vivono in un dato paese da una vita, non riescono ad eliminare le interferenze linguistiche tipiche della loro lingua madre.»

Imparare una lingua cambia la nostra visione del mondo? Hai mai cambiato idea su una cultura dopo averne studiato la lingua?

«Secondo alcune teorie linguistiche esiste una relazione tra il contenuto e la lingua in cui tale contenuto viene espresso, poiché già la lingua in sé contiene una certa visione del mondo. Si potrebbe forse dire che impariamo non solo la lingua, ma tutta la “realtà linguistica”. Mentre parlo con i miei amici o colleghi in diverse lingue, mi pare che cambiando la lingua cambi anche qualcosa nella personalità, nel modo di esprimersi, nella mimica, nel tono della voce… È difficile da spiegare. La stessa persona può sembrare “più lontana” o “più vicina” in diverse lingue. Credo che le lingue si imparino per avvicinarci alle persone.  Quindi sì, posso dire che ho cambiato idea su una cultura dopo averne imparato la lingua. È successo ad esempio con il mongolo, un idioma del tutto diverso da tutti quelli che avevo studiato prima. Viaggiando in Mongolia mi pareva di vedere e incontrare gente molto affascinante, ma allo stesso molto estranea, completamente diversa. Dopo quasi un anno di studio della lingua mongola in Polonia, sono riuscita a scrivere lettere a persone che avevo conosciuto in Mongolia durante il mio viaggio, ma con cui fino ad allora non avevo potuto comunicare senza l’aiuto di traduttori. E anche tramite questa corrispondenza mi sono resa conto che la loro cultura mi era sembrata così lontana e incomprensibile solo perché senza la conoscenza della lingua non vi avevo l’accesso.»

Pensi che l’insegnamento e lo studio delle lingue straniere possa aiutare a creare una società più tollerante e meno xenofoba?

«Fino ad un certo punto sì. Sicuramente imparare la lingua del paese in cui si vive facilita l’assimilazione: ci si sente molto più “a casa”. Funziona anche per i “nativi” che, sentendo uno straniero comunicare con scioltezza nella loro lingua, di solito lo accettano più velocemente. La questione è, tuttavia, molto più complessa e dipende da diversi fattori, non solo linguistici.»

Daresti qualche consiglio a chi vuole cominciare ad imparare una nuova lingua straniera?

«La cosa più importante è, a mio avviso, la motivazione. Se lo studio (e la regola non vale ovviamente solo per le lingue) diventa un impegno sgradito, non funzionerà, o funzionerà molto peggio e molto più lentamente. Nel mio caso è andata così con il tedesco. Non mi piaceva perché lo studiavo non per scelta ma per la scuola e per l’università, mi sembrava difficile, non volevo fare niente al di là del minimo necessario per superare una prova. E poi ho cominciato a fare delle esperienze di volontariato in Germania durante le vacanze estive: ho lavorato al rinnovamento di un piccolo asilo per bambini, ho lavorato anche con ragazzi disabili e con i cosiddetti adolescenti problematici. E dovevo per forza comunicare in tedesco.  Senza pensare se la lingua mi piaceva o no, senza badare agli errori. La conoscenza, allora scarsa ma comunque conoscenza, del tedesco mi ha permesso di fare un’esperienza che altrimenti non avrei mai fatto. Secondo me quando la lingua diventa non un obiettivo in sé, ma uno strumento per scoprire una realtà che senza di essa non riusciremmo mai a conoscere e capire, si impara da sola.»

Luca Ventura

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