L’ansia da prestazione, si sa, può riservare spiacevoli sorprese. E se c’è un’attività umana nella quale essa può generare disastri, sicuramente questa è la politica. Sarà forse per la giovane età dei protagonisti (in assoluto un aspetto positivo), sarà perchè per anni siamo rimasti fermi al palo di una discussione infinita e inconcludente, ma ci sono momenti in cui occorrerebbe fermarsi, riflettere, capire verso quale direzione si sta andando. Ricondurre tutto ad una presunta lotta tra conservazione e cambiamento è il più grande errore che un leader forte come Matteo Renzi potrebbe commettere. E questo avviene per due ordini di motivi: in primo luogo, il cambiamento non ha un solo verso, si può cambiare in modi diversi, in meglio e addirittura in peggio; in secondo luogo, il messaggio che i corpi intermedi, i movimenti, le aggregazioni siano una barriera rischia di travolgere tutto e tutti. Il mondo in parte è già in cambiato e in parte continua a cambiare giorno per giorno. Le sfide che siamo chiamati ad affrontare sono sempre più difficili e chiedono grandi sforzi di elaborazione, di conoscenza, di sguardo sul mondo. L’Italia di oggi è una piccola provincia se si paragona ai nuovi colossi mondiali, sia per popolazione che per ricchezza e sarebbe alquanto beffardo continuare a comportarci da comari di un paesino.
Sbaglia la Camusso quando fa sterile polemica politica, è ancor più indecente la Picierno quando risponde in quel modo e lasciano senza parole le cariche sui lavoratori Ast di Terni. In momenti come questi un grande partito e un grande leader devono avere il coraggio di assumersi la responsabilità di guardare nel profondo dei cambiamenti e delle tensioni, di fare anche un passo indietro per poterne fare centinaia in avanti. Un grande partito e un grande leader non possono aver paura di chiedere scusa, di cambiare il proprio linguaggio, di smetterla con gli insulti e le contrapposizioni. Un grande partito ed un grande leader dovrebbero cercare disperatamente il confronto il che non significa non scegliere o non decidere, ma farlo con la consapevolezza della complessità dei problemi.
Le parole pronunciate ieri dalla Picierno, prima ancora che essere vergognose, hanno un sottinteso che a mio parere è ancor più subdolo. Rappresentano la sudditanza acritica ad una maggioranza, la voglia di mettersi in mostra con la frase ad effetto per compiacere il capo, il rimarcare la propria esistenza che va continuamente garantita da chi di volta in volta si trova alla guida. In queste parole e nel loro significato c’è tutto il dramma del PD: da un lato, l’ansia di fare e dimostrare anche quando le cose meriterebbero di essere approfondite (vedi Province, Senato ecc.), dall’altro, la paura che il dissenso possa rappresentare la fine delle propria carriera individuale, uscire da un presunto cerchio magico in cui esserci vuol dire garantirsi, o, ancor peggio strumentalizzare una piazza per qualche rendita di posizione (vedi minoranza PD). Il tutto finisce nel vuoto della discussione, nel vuoto della cultura politica, nel futuro annunciato, nella barbarie di questi tempi, nella mediocrità delle classi dirigenti. Il 40% non può essere sbandierato come una minaccia contro chiunque provi a dire che forse a cinquanta anni è difficile ricollocarsi nel mercato del lavoro, che 1,5 miliardi sono una copertura del tutto esigua, che se non mettiamo un po’ di soldi veri per le imprese nessuno assumerà a prescindere, che il contratto a tutele crescenti (grande innovazione) se rimangono inalterate tutte le altre forme contrattuali ne diventa semplicemente l’ennesima e così via. E non è la voce della minoranza del PD, è la voce di chi vuole cambiare questo Paese e che prova a farlo ogni giorno nella sua piccola azienda, nel suo luogo di studio e di lavoro. Siamo chiamati a cambiare l’Italia, non il nostro condominio, proviamo a tenerlo un po’ più seriamente a mente.
Antonella Pepe