Definire quando il dogmatismo sia un bene o quando invece sia un male è questione di valutazioni attribuite soggettivamente dal singolo: come è possibile sperimentare in diversi ambiti di discussione reale e virtuale, riadattando Voltaire, «non condivido la tua idea, ma darei la tua vita in sacrificio perché tu possa esprimere la mia opinione e non il tuo fascismo retrogrado» (talvolta fascismo è sostituibile o accompagnabile da omofobia, razzismo, bigottismo).

Certamente questo dogmatismo, che non accetta altri punti di vista e che ben poco ha a che vedere con quella libertà che puntualmente reclamiamo con i vari #JeSuis, #IoStoCon, #IStandWith e le varie iniziative con tricolori e arcobaleni, salvo poi non concedere quella stessa libertà a chi ha un’opinione diversa, ha delle similarità con il dogmatismo cattolico – ormai non più esistente nemmeno in Vaticano, come scrivevamo qui – che sovente da quell’ambiente libertario ed al contempo autoritario è criticato, ma ancora di più ravvisa similarità con l’integralismo del dogmatismo wahabita che contraddistingue i terroristi dello Stato Islamico, sia di quello “nero” del Daesh sia di quello “bianco” dell’Arabia Saudita, che pur sostiene il Daesh. Non sorprenda l’accostamento dei nostri libertari censori ai tagliagole del Medio Oriente: l’unica differenza è che nei casi nostrani si tratta di terrorismo psicologico e di violenza verbale, ma non (ancora) fisica – nonostante anche quella fisica non manchi, come da un mese consuetudine a Torino.

Dogmatismo estremo, rifiuto e censura dell’opinione altrui: benvenuti nella Turchia di Erdogan, nella quale, come riporta l’Agence France Presse, si incarcerano i giornalisti scomodi al regime, nel silenzio dei media occidentali; da dove gli intellettuali dissidenti fuggono, come scrive Marco Ansaldo su il Venerdì di Repubblica del 20 novembre, con la speranza di poter tornare un giorno, quando i turchi smetteranno di votare per il sultano.

Il sultano Erdogan, con il suo dogmatismo accompagnato dall’intima convinzione di essere la reincarnazione del sultano Solimano il Magnifico, rappresenta un perfetto trait d’union: appartiene all’Occidente solo tramite la NATO, della quale numericamente la Turchia è il secondo esercito, e ciò gli consente di ottenere la chiusura degli occhi occidentali per la sua realpolitik, consistente nella repressione giudiziaria del dissenso e armata dei curdi, dei quali incoraggia anzi i tentativi di uccisione da parte del Daesh – Daesh che, nelle accuse del Cremlino, è finanziato da Ankara – e poco importa se i suoi aerei hanno sconfinato nello spazio aereo greco, come riportato da alcuni, perché Tsipras non reagisce con l’abbattimento degli aerei “alleati” della NATO.

Gli abbattimenti chiamano in causa la cesaropapista Russia, che dal 1453 ha assunto l’eredità dell’impero di Costantinopoli e la rivalità con i turchi, più volte sfociata in guerre; quei turchi di origine mongola e proveniente dall’Asia centrale, come può ricordare l’esistenza dei turcomanni del Turkmenistan, ex repubblica sovietica.
La Russia, ai ferri corti con la Turchia, ha detto che le potenze occidentali «non sono pronte» per collaborare con Mosca in una coalizione internazionale contro il Daesh, anche a causa dell’ambiguità nei rapporti con il paese anatolico, sponsorizzata dagli interessi statunitensi nella regione mediorientale.

Ancora una volta, ad avere la meglio è il dogmatismo geopolitico o quello (post)ideologico, che prevale su una pragmatica realpolitik.

Il dogmatismo delle “colazioni antifasciste” contro i “fascisti”, cui viene negata la libertà di esprimersi, esaspera gli studenti e distoglie l’attenzione da ingiustizie e complicazioni quali l’ISEE e le tasse universitarie: non si è mai fatto un fronte comune.
Il dogmatismo dei sunniti contro gli sciiti causa lo stallo e le tensioni attuali in Medio Oriente, con un blocco di Turchia, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti contro Iran e Siria (quella legittima e riconosciuta di Assad), più i dogmatismi ideologici di Stati Uniti, Regno Unito e Francia contro la Russia, nonostante i tentativi di Mosca di richiamare l’attenzione euro-americana sul doppiogiochismo di Ankara per riportare la questione sul piano della realpolitik, non risolve il fatto dell’esistenza del Daesh wahabita.
La stessa contrapposizione e diffidenza tra la Casa Bianca ed il Cremlino è figlia di quel dogmatismo successivo alla conferenza di Potsdam, con americani e russi contrapposti per ideologia e mancanza di fiducia reciproca.

Che non sia il caso, almeno una volta, di provare a mettere da parte il dogmatismo da guerra e provare invece a soddisfare gli interessi comuni?

Simone Moricca

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