Circa un anno fa, Houston metteva a segno un colpo da corsari alla Oracle Arena, riuscendo a mettere al tappeto dopo due overtime gli Warriors reduci da dodici vittorie consecutive. Sembrava una di those nights per i Rockets (in positivo) e i futuri campioni NBA (in negativo). Una di quelle gare dove tutto gira per il verso giusto e dove si avverte un senso di invincibilità. Harden mise a segno la quarta tripla-doppia stagionale (29 punti, 14 rimbalzi e 13 assist). Ne sarebbero arrivate altre diciotto.
Trecentosessantaquattro giorni dopo siamo ancora qui a commentare la straordinarietà di questi Houston Rockets. Nell’arco di questi mesi ne sono accadute di cose: dal terzo miglior ranking dell’intera Lega nella scorsa stagione alla deludente eliminazione contro San Antonio, fino all’arrivo di Chris Paul. Oggi la squadra del Baffo non stupisce più. O meglio, stupisce ma nel suo significato più “maturo” – concedetemi questa terminologia. Lo stesso stupore con cui si accoglie un nuovo film di Denis Villeneuve o il suono della chitarra di Carlos Santana che torna sul palco. È una poetica che conosci ma che riesce sempre a darti ulteriori nuovi spunti, qualcosa che hai tralasciato in precedenza e che adesso diventa chiaro e palpabile.
Con la vittoria contro gli Indiana Pacers, Houston raggiunge la sesta vittoria consecutiva e chiude il mese di novembre con un record di 12-1. Al momento è in testa alla Western Conference con due vittorie di vantaggio su Golden State e ha una percentuale di vittoria (0.810%), seconda solo a quella dei Boston Celtics (0.818%). Naturalmente è ancora molto presto per tirare le somme, per capirci davvero qualcosa dovremo aspettare quanto meno fino alla solita pausa All-Star Game di febbraio. Eppure, ventuno partite rappresentano comunque un buon campione da prendere in esame.
Il problema nella passata stagione, come sappiamo, era la difesa. Un problema “pianificato”, in un certo senso. Era difficile migliorare e dunque la società aveva puntato tutto sull’attacco. In questa stagione, anche la difesa ha subito un notevole miglioramento, passando dall’essere la 18° della NBA alla 7°.
Una differenza molto importante, che evidenza i progressi che la squadra ha fatto grazie a degli automatismi bene assorbiti. Vi è da poi considerare il fattore Chris Paul. L’ex giocatore dei Los Angeles Clippers ha avuto un problema al ginocchio sinistro nella gara d’apertura contro Golden State. Un infortunio che l’ha tenuto fuori per 14 partite. E la sua differenza in campo si sente eccome.
Per adesso il 9x All Star si sta limitando a giocare 27 minuti circa a gara mettendo a referto 10.8 punti, 10.8 assist, 2.2 recuperi. Parametrando queste sue statistiche per 36 minuti, abbiamo: 14 punti, 14 assist e 2.8 rubate. Niente male, considerando che a Houston non è costretto ai lavori forzati.
E il motivo è naturalmente James Harden. Ancora prestazioni eccezionali del Barba. Ad oggi conduce la lega per punti segnati (31.5), assist (9.8) e triple segnate (94). Tredici in più rispetto a Klay Thompson e venti rispetto a Stephen Curry. Produce più punti per possesso di chiunque altro giocatore nella Lega (118) ed ha il miglior usage rate (35.8). Solo Westbrook serve più assist potenziali di lui. E questi sono solo i numeri, poi c’è il resto. La sensazione è che capisca di essere parte integrante di un qualcosa va oltre il normale concetto di sistema e che, motivato, riesca a spingere i propri limiti oltre ed oltre. E manca ancora un terzo di stagione!
“Sta giocando ad un altro livello, senza dubbio. La sua difesa è stata eccezionale, ma la sua fase offensiva è stata assolutamente indescrivibile. Il primo quarto di ieri… Non ho mai visto una cosa del genere. È assurdo quel che ha fatto. La sua efficienza è stata davvero, davvero buona”, ha dichiarato D’Antoni dopo la vittoria contro i Brooklyn Nets.
Il sistema sta funzionando. È rischioso, ma i rischi pagano. E se si vuol battere una corazzata come Golden State qualche rischio bisogna avere il coraggio di prenderlo. Houston lo sta facendo, senza alcuna paura di incappare in partite dove le triple non entrano. Sanno che possono credere ciecamente in questo “approccio filosofico” al gioco. Nelle scorse settimane Zach Kram sul sito The Ringer ha scritto come “i Rockets siano su di una loro orbita, prendendo più della metà dei loro diri da dietro la linea dei tre punti”. In questo momento la frequenza con cui i Rockets tirano da dietro la linea dei tre punti è del 55.6%. Basti pensare che la seconda squadra in questa tipologia di statistica, i Mavs, arrivano appena sopra al 40%. Per approfondire meglio il discorso, date un’occhiata sopra linkato. Funzionerà? Difficile dirlo. Quel che sappiamo però è che il gm Morey ha creato una squadra che possa in tutto e per tutto affrontare questo tipo di percorso.
Michele Di Mauro