Nella sua ultima conferenza stampa il premier Matteo Renzi è sembrato diverso dal solito. Pur mantenendo il consueto quantitativo di slogan usa e getta, particolarmente adatti a rientrare nei 140 caratteri di twitter, come “Parola d’ordine RITMO” (quasi stesse promuovendo la famosa autovettura Fiat degli anni 80), c’è stato qualcosa di stonato, strano, quasi impercettibile.
Il Matteo Renzi delle riforme in 1000 giorni e del futuro che è solo l’inizio, proprio nel periodo dei “fioretti per il nuovo anno” perde l’occasione di dare una nuova pennellata di verde speranza. Si sofferma soprattutto a rimarcare quelle che considera come le sue vittorie, primo fra tutti il Jobs Act, ma non chiarisce bene le prossime strategie dell’esecutivo, e ciò è strano se si considera che i prossimi mesi saranno decisivi per le sorti dell’Europa, e di conseguenza anche dell’Italia, anzi, soprattutto dell’Italia.
La prospettiva di un Quantitative Easing della Bce unita alla probabile richiesta di una manovra correttiva da parte dei vertici di Bruxelles per consolidare i conti pubblici italiani, sono solo due dei tre temi salienti nel prossimo futuro. Il terzo? Ovviamente la scalata politica di Alexis Tsipras, che secondo i sondaggi si presenterà da gran favorito alle prossime elezioni anticipate in Grecia del 25 gennaio.
Il leader di Syriza, il principale partito di sinistra greco, era già andato vicino alla vittoria nelle passate elezioni del 2012, perdendo di soli tre punti percentuali contro la coalizione conservatrice di centro-destra capitanata da Antonis Samaras, complice l’opposizione di una campagna mediatica a dir poco mistificante.
All’attuale esecutivo Syriza contesta un regime di austerità considerato eccessivo, voluto dall’Europa per rifarsi il prima possibile dei crediti che vanta sullo stato ellenico.
Proprio l’attuale politica europea è il principale oggetto della riforma paventata da Tsipras e non c’è da stupirsi d’altronde che sia così, analizzando dati alla mano la distribuzione del debito greco fra i suoi vari creditori: dei 330 miliardi di euro di debito il 60% è detenuto dai fondi salva-stati, ovvero dall’Unione europea, il 12% dal Fondo monetario internazionale, l’8% dalla Bce, mentre solo il 15% appartiene ai privati. Una “riforma” però, anche se drastica, e non una “rivoluzione”, poiché il probabile prossimo premier non ha mai detto di voler uscire dall’Europa.
Leggendo qualche punto del programma di Syriza ci si rende conto immediatamente di quanto l’elezione di Tsipras potrebbe significare anche per l’Italia, qualora le sue istanze divenissero realtà, costituendo un precedente di importanza inimmaginabile.
Il principale cambiamento richiesto da Syriza riguarda il condono o la cancellazione di gran parte del debito pubblico greco, quello appunto appartenente alle istituzioni europee, seguendo un iter già percorso nel 1953 nei confronti dell’ex Germania nazista. A tal proposito il programma recita:
“Cancellare la maggior parte del valore nominale del debito pubblico in modo che diventi sostenibile nel contesto di una “Conferenza europea del debito”. E ‘successo per la Germania nel 1953. Può anche accadere per il Sud Europa e la Grecia.”
A ciò si accompagnerebbe l’ “Esclusione degli investimenti pubblici dai vincoli del Patto di Stabilità e di Crescita”, e “Investimenti nella conoscenza, la ricerca, e la nuova tecnologia al fine di far tornare a casa giovani scienziati, che sono massicciamente emigrati negli ultimi anni.”
Ma il punto più problematico del programma, e di gran lunga più pericoloso per la Germania, ormai “il nemico” nell’immaginario collettivo greco, è il seguente:
“Infine, dichiariamo ancora una volta che la questione del prestito forzoso durante l’occupazione nazista della Banca di Grecia è una questione ancora aperta per noi. I nostri partner lo sanno. Diventerà la posizione ufficiale del paese a partire dal nostro primo giorno al potere.”
In pratica è stata fatta una stima dei danni alle infrastrutture, furti di reperti archeologici e prestiti forzosi causati dalla Germania nazista alla Grecia dal 1941 al 1945, si parla di circa 220 miliardi di dollari al quale risarcimento la Grecia dovette rinunciare sotto il condizionamento di inglesi e americani, che temevano di incorrere negli stessi errori del primo dopoguerra. Una somma che il nuovo governo Tsipras potrebbe pretendere, proprio da quella cancelliera Merkel che durante la campagna elettorale di maggio per le elezioni europee definì il leader “un interlocutore indesiderabile”, rifiutando di incontrarlo.
Valerio Santori