“Conte sente il richiamo del campo, la quotidianità dell’allenamento e questo è comprensibile. Abbiamo puntato sempre su di lui, mi ci sento quasi quotidianamente. Faremo le nostre valutazioni con serenità, ora è il momento di prendere atto della decisione di una persona che ha sempre lavorato con impegno e sacrificio e che ha favorito il recupero dell’immagine della Nazionale. Lo ringrazierò sempre per questo”
Sono queste le parole del presidente federale Carlo Tavecchio che sanciscono la fine dell’avventura di Antonio Conte sulla panchina della nazionale italiana al termine dei campionati europei in Francia. Un addio previsto ma allo stesso tempo sorprendente, non tanto per la voglia risaputa del tecnico di ritornare ad allenare un club ma per la tempistica dell’annuncio, dato molto in anticipo rispetto alla scadenza naturale dell’accordo.
Ingaggio, stage, infortuni, calcioscommesse. Quello da commissario tecnico si è rilevato un percorso più insidioso del previsto per l’allenatore pugliese, che nel corso di questi diciannove mesi in azzurro è stato un’autentica calamita di critiche.
La prima gli è stata mossa già al momento della firma del contratto, il 19 Agosto 2014, quando Conte, dimessosi poche settimane prima dal ruolo di tecnico della Juventus, aveva chiesto ed ottenuto un ingaggio attorno ai 4 milioni di euro, pagati in parte dalla federazione (1,7 milioni) e per i restanti da un connubio di sponsor capeggiati dalla Puma (sponsor tecnico degli azzurri). Una cifra esorbitante se paragonata al salario del suo predecessore, Cesare Prandelli (1,6 milioni), o a quello dei commissari tecnici di Germania e Spagna, Loew e Del Bosque, che guadagnano rispettivamente 2,8 e 2,5 milioni.
Conte, fortemente voluto proprio da Tavecchio per risollevare la Nazionale dopo il disastroso mondiale in Brasile, aveva chiesto maggiore collaborazione da parte dei club nel lasciare i propri calciatori liberi di effettuare alcuni stage durante l’anno, affinché potesse lavorare più tempo e cercare quella coesione di gruppo, tipica delle squadre di club, fondamentale per il gioco tutto intensità e sacrificio del Ct. Quegli stessi stage da lui osteggiati quando era allenatore della Juventus e che sono stati visti ancora di cattivo occhio dalle società, soprattutto da quelle impegnate in Europa (bianconeri su tutti). Proprio la decisione della Lega di escludere i calciatori occupati nelle competizione europee è stato il motivo dell’annullamento dello stage previsto nel mese di febbraio. Un rapporto non proprio idilliaco con la Juventus lo ha accompagnato fin dai primi giorni del suo insediamento, deterioratosi ancor di più con il caso Marchisio, quando lo staff medico della Nazionale diagnosticò erroneamente la rottura dei legamenti del ginocchio al centrocampista, smentita poi dagli ulteriori esami apportati dai medici juventini.
BILANCIO – Nove vittorie, cinque pareggi e due sconfitte. Questo è fin qui il bilancio di Antonio Conte da Ct che, aggiungendo la qualificazione ottenuta con un turno di anticipo proprio ad EURO 2016, di certo non possiamo definire deludente. Se però analizziamo accuratamente le nazionali affrontate, notiamo che a parte nell’esordio contro l’Olanda (tra l’altro non qualificata agli europei) nessuna vittoria è stata conquistata con una nazionale piazzata meglio dell’Italia nel ranking FIFA. Le vittorie stentate con Malta, unite alle sconfitte con Portogallo e Belgio aprono inoltre un dibattito sulla mancata impronta di gioco da parte del Ct, che dal ‘fedele’ 3-5-2 adottato all’esordio contro gli Orange è passato al più classico 4-4-2. La mancata esplosione della coppia Zaza – Immobile scelta per guidare l’attacco nelle qualificazioni; lo scarso minutaggio di altri calciatori, come El Sharaawy e Gabbiadini, hanno costretto il Ct a convocare gli oriundi Eder e Vazquez, a dimostrazione della povertà di elementi di valore a disposizione e dello scarso rimpasto generazionale. Basti pensare che dei calciatori convocati per l’europeo under 21 dello scorso anno solo Rugani e Sturaro hanno ottenuto una convocazione (senza per altro scendere in campo) nella nazionale maggiore.
Con un Europeo ancora da disputare, Conte più che nei risultati pare abbia fallito negli obbiettivi da lui proclamati in principio: dare nuova linfa ad un gruppo che è pressoché lo stesso del fallimento prandelliano ed eliminare l’ostruzionismo attuato dai club (soprattutto la sua ex Juventus). A far da cornice ci sono stati i guai giudiziari dovuti ai vari processi sul calcioscommesse a penzolare come una spada di Damocle sulla sua testa durante tutta la sua esperienza azzurra.
FUTURO – Da adesso è scattato ufficialmente il totoct. Capello, Mancini, Donadoni, Ventura e De Biasi sono stati solo i nomi pronunciati nelle ultime quarantotto ore. Di certo chi si siederà su quella panchina dovrà essere consapevole che i problemi evidenziati dopo il mondiale brasiliano sono irrisolti indipendentemente dal risultato dei prossimi europei. Ricucire il rapporto fra società e Nazionale, ridare un’identità di gioco e un ringiovanimento del gruppo sono solo alcuni temi che il prossimo Ct dovrà annotare sulla propria agenda. Per quanto riguarda Conte, invece, si spalancano le porte della Premier League, infatti i tabloid inglesi lo danno come prossimo allenatore del Chelsea al termine della rassegna continentale.
Ivan D’Ercole