Da piccoli ci hanno insegnato a porgere l’altra guancia se si veniva offesi o si riceveva uno schiaffo. Un detto ormai desueto nell’Italia del Governo Meloni, al quale si addice di più la variante “porgi l’altro manganello”, non solo se non si riceve nessuno schiaffo, anzi soprattutto se non si ha neppure l’intenzione di darlo.
Eppure forse avremmo bisogno di uno schiaffo forte, in senso metaforico, considerando che continuiamo a voltarci dall’altra parte, a fingere di non vedere, di non sentire, nonostante non troppo lontano da qui sia in atto un vero e proprio genocidio, nonostante un numero a troppe cifre di vite si spengano ogni minuto. Dinanzi alla crisi umanitaria nella Striscia di Gaza, l’Italia è spaventosamente divisa: da un lato c’è chi prova a far sentire la propria voce invocando la pace con i propri mezzi, dall’altro chi alla richiesta di pace risponde con la sua antagonista. Da che parte si schiera il Governo è fin troppo palese.
A Pisa il 23 febbraio giovani studenti e studentesse si sono riuniti in un corteo pacifico pro-Palestina per dare il proprio contributo ed esprimere la propria voce in merito alla guerra. Le scuole e le università sono i luoghi in cui prende forma il pensiero del singolo, in cui si è stimolati a ragionare con la propria mente e in cui si impara a lottare per ciò in cui si crede e in ciò che è giusto, dove ci hanno insegnato che alla violenza non si risponde con altra violenza. E invece come rispondere alla pace? Con manganelli e giochi di potere. Al corteo le forze dell’ordine hanno scelto la via autoritaria e hanno bloccato con forza, caricato e preso a manganelli i giovani partecipanti del corteo.
Il Presidente della Repubblica non tarda, né potrebbe tardare, a prendere posizione e condannare la scelta della violenza. «Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento», afferma Mattarella dopo aver illustrato al Ministro Piantedosi la differenza tra autoritarismo e autorevolezza. Le forze dell’Ordine avrebbero dovuto assicurare lo svolgimento delle manifestazioni in totale sicurezza, piuttosto che rendere le strade dei campi di lotta in nome del “vince il più forte”.
Pur chinando la testa alle parole del Presidente, il ministro Piantedosi non sembrerebbe essere pienamente d’accordo, affermando che la manifestazione sarebbe avvenuta violando la legge in quanto non annunciata alla Questura. Ma forse non ricordiamo bene: da quando sarebbe illegale manifestare, pacificamente tra l’altro, o esprimere la propria posizione a gran voce? Probabilmente abbiamo dimenticato quando tutto questo sia iniziato. Per il nostro Ministro la manifestazione era illegale, e la Questura è al ministro dell’Interno che risponde, mostrando il volto dell’autoritarismo.
Inoltre, il solerte ministro sembrerebbe perdere di vista un punto altrettanto fondamentale: la maggioranza dei manifestanti erano ragazzi, giovani che provano a dare il loro contributo per una causa che nessuno sembra voler ascoltare, persone che – almeno per ora – non hanno perso le speranze nell’umanità. Questi giovani sono stati bloccati con forza e alcuni feriti con manganelli. Questo è un fallimento. E la nostra Presidente cosa pensa al riguardo? Le incongruenze sulla narrazione e l’interpretazione dei fatti non potrebbero essere più evidenti: Meloni si schiera con le forze dell’ordine, portando a sua volta l’Italia a schierarsi, e sembrerebbe legittimare implicitamente l’utilizzo del potere e della violenza contro dei ragazzi che manifestano per la pace. Tuttavia, finché è un Governo “di Sinistra” a reprimere con forza le manifestazioni questo è condannabile, come avvenuto nel caso delle manifestazioni no-vax a Trieste qualche tempo fa.
Pisa non è di certo un caso isolato. Episodi simili si sono verificati nelle stesse giornate a Firenze, dove sono partite cariche di alleggerimento quando i manifestanti stavano avanzando verso il consolato americano, e sono stati preceduti di qualche giorno a Napoli, dove fuori gli studi Rai il presidio pacifico pro-Palestina è sfociato in manganelli, feriti e ambulanze. “La linea della Rai la dettano i Guerrafondai”, si legge su alcuni dei cartelli dei manifestanti, con chiaro riferimento agli episodi post-Sanremo, all’inettitudine di Amadeus e la “difficoltà” di Mara Venier.
Con la violenza, si sa, non si è mai ottenuto nulla. Il supporto per la causa palestinese continua a voce ancora più alta nonostante i tentativi di impostare il silenzioso. Dopo gli appelli sul palco dell’Ariston di Dargen D’Amico, Ghali ed Eros Ramazzotti, il 25 febbraio, al Palapartenope di Napoli, artisti come Fiorella Mannoia, Enzo Avitabile e Valeria Perrella hanno preso posizione organizzando il concerto “Life for Gaza”, con l’obiettivo di dire basta alla guerra – e alle guerre – e raccogliere fondi umanitari per la Palestina, ridotta ancor più a un’isola abbandonata, un’isola di fantasmi, alla quale gli approvvigionamenti fanno sempre più fatica a giungere.
Dopo gli eventi di fine febbraio, arriva la pronta risposta anche da Pisa, dove il 2 marzo si sono riuniti non più in centinaia, ma in oltre seimila per invocare la pace. Gli slogan riportano espressioni del tipo “contro lo Stato fascista e terrorista”, contro Israele, ma allo stesso tempo contro la strategia autoritaria – altro che deriva – del Governo Meloni.
Dopotutto, la reazione e la posizione dei nostri ministri davvero ci sorprendono così tanto? Dopo gli sforzi del Governo per identificare l’autore del grido antifascista alla Prima de La Scala di Milano, dopo la reazione dei media, portavoce di un governo fantoccio, alle parole di Dargen D’Amico e di Ghali sul palco dell’Ariston, per citarne solo un paio degli ultimi mesi, avrebbe dovuto essere chiaro da che parte si schiera l’Italia, non l’italiano vero, bensì l’Italia del Governo Meloni. Posizione che ha trovato la sua piena espressione nei fatti del 23 febbraio, quando è solo caduta una maschera barcollante già da tempo.
Guerre nel mondo, in Ucraina, in Palestina, genocidi in corso, censura e oppressione violenta, sono lo sfondo sempre più rosso della nostra quotidianità, del quale non si vuole – o non si può? – parlare, perché tanto qui è tutto normale.
Nunzia Tortorella